Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/347

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campagna è nostra, pigliatemi Lapo, e legatelo, che ne lo meni prigione. — Ma ciò non venne lor fatto, percioché Lapo, vista la mala parata, avanzando tempo, se n’era fuggito, per non capitare in mano de’ nemici. Fatta questa fazione, mosse Gnatone il campo verso l’alloggiamento, per rinfrescarlo; e percioché, sendo giá notte, non credeva d’essere a tempo alla cena per far carnaggio, tra via diede lor a sacco un pollaio. Ed arrivato, trovò che Dionisofane dormiva, e Dafni che non pur vegghiava, ma che a piè del giardino ancora passeggiando e piangendo si stava: laonde, menatagli la sua Cloe davanti, e raccóntogli con grande angoscia, come un trafelone che egli era, tutti gli avvisi di quella impresa, gli stratagemmi che avea fatti, le prodezze della sua persona, a che repentaglio s’era messo in quella spedizione, con quel grado che potè maggiore, gli ne presentò: poscia, pregandolo che non piú delle sue ingiurie si ricordasse, gli chiese in grazia che della sua mensa non lo privasse, percioché fuor di quella si vedea in preda della fame. Dafni, vedendosi innanzi la Cloe e per mano avendola, non pur fu contento a perdonargli, ma gli restò di tanto beneficio obbligato. Ragionandosi poi del maritaggio della Cloe, ciascuno lo consigliava che non l’appalesasse, ma che secretamente la si tenesse e solo con la madre conferisse il suo amore. Driante non solo non v’acconsenti, ma fu di parere che si dicesse al padre, ed egli stesso si profferse di parlargliene e farrtelo contento: perché, ricondottasi la fanciulla a casa, Dafni se n’andò con molta allegrezza a dormire, e Gnatone con un buono appetito a scosciar dei polli. La mattina seguente Driante, postosi nel zaino gli arnesi della Cloe, se n’andò a parlare con Dionisofane e con la Cleariste; e, nel giardino a sedere trovatili, ed Astilo e Dafni con essi, chiesta lor licenza, favellò in questa guisa: — Io vengo da voi, tratto da quella stessa necessitá a rivelarvi un mio secreto, da cui fu mosso Lamone a palesarvi il suo. Questa mia fanciulla non è mia figliuola, ed io non l’ho né generata né nutrita. Suoi genitori non so io quai si siano; ma sua nutrice fu una mia pecora, qui su, nella grotta delle ninfe, dove ella fu gittata. Io mi abbattei, pascendo quindi