Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/62

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modo di desiderio, che questo nome di Farnese l’aiuti ad onorar questi gigli, di che vuol parlare, e mantener vive queste lor lodi, come il nome di Giacinto e d’Aiace onora i gigli ordinari e gli fa nominare fino a questo tempo. Avete inteso ora? Non conoscete chiaramente che, in qualunque di questi modi s’intenda questo loco, non c’è quella vanitá che voi dite? O dove avevate il capo, per vostra fé, quando da queste parole si chiare cavaste si torbidi e si confusi sensi, come sono i vostri? I quali Dio sa ch’io non intendo. E voglio credere di non intendere niente, se gli intendete voi.

Castelvetro — Opposizion V

«Per me non oso». Se avea chiamate le muse, non so perché dica questo, o inviti altrui che loro; o, invitandolo, non dica la ragione perché non sono sufficienti.

Predella

Oh va, ti fida poi tu! Questa buona persona del Caro (non si arrischiando d’andar con Omero, per sentir ch’era cieco) s’è lasciato guidare a Vergilio. E se n’andava alla secura, sapendo ch’egli tre volte avea fatto questo medesimo viaggio. Vedete ora dove l’ha condotto! Ma mi piace che ancor egli vi sia rimaso. E voglio stare a vedere prima lui come n’uscirá. Egli nel primo, nel secondo e nel terzo della Georgica fa questo medesimo a punto. Nel primo, dopo l’invocazione di tanti iddíi, invoca ancora Augusto, dicendo:

Da facilem cursuni, atque audacibus annue coeptis.

Nel secondo, invocato Bacco, dice, invitando Mecenate:

Tuque ades, incoeptumque una decurre laborem.

Nel terzo, invocata Pale e gli altri, rinvita Mecenate e soggiunge:

Te sine, nil altum mens incohat...