Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/73

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i promontori, i liti piú alti, il giro delle cittá e delle selve, che fanno i confini alla Francia, le facciano un orlo poetico intorno, dove piú alto e dove piú basso, e dove anco rotto, se bisogna; come nell’aperture verso il mare, e nelle batterie che si son fatte in queste guerre, nelle terre de’ confini, che ragionevolmente vi debbon mancare parecchi merli. Ed imaginandovi questo, non vedrete che sará quasi una «conca»? Intendetela adesso? Non ancora? Ve lo dirò con un essempio materiale, che lo vedrete con gli occhi, se venite a Roma. Nella vigna di papa Giulio terzo, è una conca grande, se non quanto la Francia, poco meno: non è cupa, come quella da lavare i piedi, ma piatta, rotta e sboccata in certi lochi. Pensate ora che ’l Caro volesse che questa fosse anco piú grande, e che ella stésse fra i due mari e i due monti sopradetti. Entravi in capo che si potesse ridurre in forma della Francia? Veggo che vi dánno ancor fastidio quelle rotture dell’orlo. Ma io vi dico che per mano di maestro «Quasi», con manco fatica, con manco manovali e con manco spesa che non ha fatto Sua Santitá racconciar questa, potete racconciar voi quella del Caro; perché non è tanto dura come la sua, eh’è di porfido, e si può maneggiare e rappiccare e risarcire in tutto e in un subito, come voi volete. Ma bene è vero che né la conca né l’altre cose, che vi paion mal fatte, si possono racconciare, se non vi si concia prima il cervello.

Castelvetro — Opposizion Vili

«Amene». Come è detto, non è parola da usare; ma, posto che fosse, non si direbbe di tesori e di popoli.

Predella

Di grazia, ripassate un’altra volta questi versi:

Giace, quasi gran conca, infra due mari, e due monti famosi, Alpe e Pirene, parte delle piú amene