Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/91

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di tanta diversitá di termini, può risultar contrarietá di sensi; quando non ne risulterebbe, ancora che fossero diversi in una sola di queste cose? Percioché, a far la vera contrarietá, ci si richiede che i termini siano, non pur d’una medesima vertú, ma d’una medesima forma: e questi non sono né dell’una, né dell’altra. Ma io vi voglio concedere ancora che ’l sole e Febo (per diversi che siano) s’intendano da voi per un medesimo: come è possibile, per questo, che nel capo vostro possa entrare che siano le medesime similitudini, se una è della stella col sole, l’altra della perla con Febo. Se il sole e Febo è tutt’uno, secondo voi, non essendo tutt’una cosa la perla e la stella, non saranno i termini diversi, almeno in parte? E, se questo è, come possono le similitudini esser le medesime in tutto? E se non sono, dove stanno questi contrari? dove sta la «povertá dell’invenzione», che voi riprendete in questo loco, povero che siete veramente, e di dottrina e di giudizio e di cervello? E forse che non dite che ’l Caro non ha voluto «affaticar l’intelletto a trovar due altre similitudini diverse»; e voi siete sudato a trovare che non siano diverse queste? Oh! rasciugatevi, e rimettete un’altra volta in opera cotesta vostra tanto laboriosa intelligenza, per vedere se, con tutta la vostra fatica e con quanta ricchezza avete in capo de’ vostri griccioli, vi bastasse l’animo di trovare in questo loco due altre similitudini diverse, che siano piú nobili e piú accommodate di queste. Ma io credo che v’averrá come allo spilletto: il quale, persuadendosi d’esser penetrativo anch’esso, disfidò l’ago a cucire; non conoscendo poi la differenza ch’era dal forare al passare, e dall’aver cruna a non l’avere, conobbe ancora d’essere assai piú grosso di capo, che aguzzo di punta.

Castelvetro — Opposizion XVI

«E ’l mio ne sente un foco». Chi vide mai effetto di foco essere il volo e ’l canto?