Pagina:Castiglione - Il libro del Cortegiano.djvu/77

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libro primo. 61


della dignità dell’arme e delle lettere, che quella che fu data da un de’ più gran capitani che mai sia stato?

XLVI. Rispose allora il Conte: Io biasimo i Franzesi che estiman le lettere nuocere alla profession dell’arme, e tengo che a niun più si convenga l’esser litterato che ad un uom di guerra; e queste due condizioni concatenate, e l’una dall’altra ajutate, il che è convenientissimo, voglio che siano nel nostro Cortegiano: nè per questo parmi esser mutato d’opinione. Ma, come ho detto, disputar non voglio qual d’esse sia più degna di laude. Basta che i litterati quasi mai non pigliano a laudare, se non uomini grandi e fatti gloriosi, i quali da sè meritano laude per la propria essenzial virtute donde nascono; oltre a ciò sono nobilissima materia dei scrittori: il che è grande ornamento, ed in parte causa di perpetuare i scritti, li quali forse non sariano tanto letti nè apprezzati se mancasse loro il nobile suggetto, ma vani e di poco momento. E se Alessandro ebbe invidia ad Achille per esser laudato da chi fu, non conchiude però questo che estimasse più le lettere che l’arme; nelle quali se tanto si fosse conosciuto lontano da Achille, come nel scrivere estimava che dovessero esser da Omero tutti quelli che di lui fossero per scrivere, son certo che molto prima averia desiderato il ben fare in sè, che il ben dire in altri. Però questa credo io che fosse una tacita laude di sè stesso, ed un desiderar quello che aver non gli pareva, cioè la suprema eccellenza d’un scrittore; e non quello che già si presumeva aver conseguito, cioè la virtù dell’arme, nella quale non estimava che Achille punto gli fosse superiore: onde chiamollo fortunato, quasi accennando, che se la fama sua per lo innanzi non fosse tanto celebrata al mondo come quella, che era per così divin poema chiara ed illustre, non procedesse perchè il valore ed i meriti non fossero tanti e di tanta laude degni, ma nascesse dalla fortuna, la quale avea parato inanti ad Achille quel miracolo di natura per gloriosa tromba dell’opere sue; e forse ancor volse eccitar qualche nobile ingegno a scrivere di sè, mostrando per questo dovergli esser tanto grato, quanto amava e venerava i sacri monumenti delle lettere: circa le quali omai s’è parlato a bastanza.—