Pagina:Caterina da Siena – Libro della divina dottrina, 1928 – BEIC 1786681.djvu/276

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con le corna della superbia tua, facendo ingiuria a me e al prossimo tuo, e con ingiuria e con ignoranzia conversi con lui ? È questa la mansuetudine con che tu debbi andare a celebrare il corpo e’1 sangue di Cristo mio Figliuolo? Tu se’ fatto come uno animale feroce, senza veruno timore di me. Tu devori el prossimo tuo e stai in divisione, e fatto se’ accettatore delle creature, accettando quelli che ti servono e che ti fanno utilitá, o altri che ti piaccino che siano di quella medesima vita che tu; e’quali tu debbi correggere e dispregiare i difetti loro. E tu fai el contrario, dando lo’ esemplo che faccino quello, e peggio. Ma se tu fussi buono, el faresti; ma, perché tu se’gattivo, non sai riprendere né ti dispiace il difetto altrui.

Tu dispregi gli umili e virtuosi poveregli. Tu li fuggi: ma tu hai ragione di fuggirli, poniamo che tu noi debba fare; tu li fuggi perché la puzza del vizio tuo non può sostenere l’odore della virtú. Tu ti rechi a vile di vederti all’uscio e’miei poveregli. Tu schifi ne’ loro bisogni d’andare a visitarli : vedili morire di fame e non li so vieni. E tutto questo fanno le corna della superbia, che non si vogliono inchinare a usare uno poco d’atto d’umilitá. Perché non s’inchina ? perché l’amore proprio, che notrica la superbia, non l’ha punto tolto da ,sé ; e però non vuole condescendere né ministrare a’ poveregli né sustanzia temporale né la spirituale senza rivendaria.

O maladetta superbia, fondata nell’amore proprio, come hai aciecato l’occhio dell’ intelletto loro per si fatto modo, che, parendo lo’amare e essere teneri di loro medesimi, essi ne sonno fatti crudeli ; e parendo lo’ guadagnare, pèrdono ; parendo lo’ stare in delizie e in ricchezze e in grande altezza, essi stanno in grande povertá e miseria, perché sonno privati della ricchezza della virtú ; sonno discesi dall’altezza della grazia alla bassezza del peccato mortale. Par lo’ vedere ; ed e’ sonno ciechi, perché non conoscono loro né me. Non conoscono lo stato loro né la dignitá dove Io gli ho posti, né conoscono la fragilitá del mondo e la poca fermezza ,sua; però che, se’l cognoscessero, non se ne farebbero Dio. Chi l’ha tolto il