Pagina:Caterina da Siena – Libro della divina dottrina, 1928 – BEIC 1786681.djvu/413

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si da non poter dar luogo a pentimenti né a correzioni. Cosi, mentr’ella serba nei suoi lunghi periodi un nesso continuo di pensiero, nonostante le digressioni e gl’ incisi che a volte s’incalzano e si succedono senza respiro; pure, finiti questi, quand’ella ritorna all’interrotto pensiero e lo vuol compire, la memoria, non aiutata dai «fedeli occhi» (perché ella détta, non scrive) le fallisce, e allora per una parola o anche per una particella, raramente per una frase, che non colleghi con la sospesa proposizione, il costrutto rimane sconnesso. Ora, queste sconnessioni, queste piccole mende, che negli altri mss. si trovano per la maggior parte corrette, costituiscono per l’appunto il pregio del codice senese. Parrebbe quasi che la riverenza a Caterina abbia vietato all’amanuense di apportare al dettato di lei la menoma alterazione, anche quando per chiarezza e correttezza gli sarebbe potuto sembrar necessario. E questa può ritenersi una prova che il nostro codice sia stato scritto di mano dei suoi discepoli! 1 ). E diciamo «dei suoi discepoli», perché è evidente che la scrittura non è tutta di una sola mano, come risulta dalle osservazioni notate piú oltre nella descrizione del codice e dalle varietá della grafia. Può darsi che la seconda parte, quella ove capitano le parole scritte in fine del Libro-. «Prega per lo tuo inutile fratello», sia appunto di mano del Maconi, anche perché, graficamente, è piú corretta.

Che poi questo codice sia piú antico degli altri, come afferma anche il Gigli (senza però darne le ragioni), si può dedurre dall’essere il solo (certamente il solo tra gli undici codici qui esaminati) che non ha avuto originariamente la partizione in trattati e in capitoli, la quale è stata fatta, in tempo posteriore, al margine, con le rubriche in rosso, di scrittura diversa da quella del testo; né vi è la tavola dei capitoli, che trovasi, invece, in tutti gli altri.

Venendo ai criteri seguiti nel riprodurre questo ms., essi, per quanto concerne l’ortografia, sono conformi alle norme comuni a tutti i volumi degli Scrittori d’Italia. Ma nella prima edizione, che era diretta a presentare con scrupolosa fedeltá il testo del codice senese, essendo stata costantemente rispettata la doppia forma grafica di una íiiedesima parola, si leggeva «dixi» e «dissi»,

(1) Forse non è superfluo avvertire che lo scritto originale, quello vergato dai discepoli mentre Caterina «ore virgineo dictabat.», non esiste piú. Ciò però non toglie né diminuisce valore a questo codice, che anche il Grottanelli (op. cit., p. 198, nota 19) dice essere la «copia autentica».