Pagina:Caterina da Siena – Libro della divina dottrina, 1928 – BEIC 1786681.djvu/414

Da Wikisource.

«proximo» e «prossimo», «decto» e «detto», «dannati» e «dapnati» e «danpnati», ecc. secondo che nel codice trovasi Timo o l’altro modo. E anche si notava dalla pagina 160 al principio della pagina 162 una certa differenza di ortografia, essendosi trascritto quel brano dal codice laurenziano gaddiano, perché nel codice senese la carta 49, che lo contiene, non è piú la originale (d.

In questa seconda edizione, non solo tutto il testo è stato diligentemente riscontrato e in piú luoghi corretto di piccole mende, ma è sembrato migliore avviso rivederne e modificarne la veste grafica nel doppio intendimento di agevolare la lettura e di seguire i piú recenti indirizzi della critica. Dato infatti che il testo dell’opera non è di mano di Caterina bensí di chierici scriventi sotto dettato ma senza revisione diretta dell’autrice, la riproduzione diplomatica del codice piú autorevole, una volta compiuta per interesse degli studiosi, non aveva piú ragione di perpetuarsi. In secondo luogo, si è ormai raggiunta la convinzione che sigle del genere di et per tt , per ss, npn per nn e simili non rappresentassero piú nel ’300 alcun reale valore fonetico, ma solo una tradizione e una presunzione etimologica che molte volte non hanno alcun fondamento. Seguendo tale criterio, dette sigle sono state rigorosamente eliminate, con grande vantaggio della perspicuitá e senza il menomo danno della fedeltá al codice esemplato: fatta eccezione per alcuni puri, purissimi latinismi (come contempto per «disprezzo» ; subdito in senso ecclesiastico) che non erano da toccarsi. La interferenza della latinitá medioevale con il volgare senese è per altro piú profonda nel nostro testo, e tocca le forme di molte parole: non solo, ma si complica per la interferenza, col senese vero e proprio, di quel volgare letterario che nel 1378 era giá ben formato e definito. Qui ci sarebbe piaciuta l’adozione di una certa uniformitá, ben s’intende in favore del senese: ma all’atto pratico non è stato possibile. E non solo perché è ancora incerta piú di una questione relativa alle parlate toscane del buon secolo ( 1 2 ); ma perché non siamo affatto sicuri che, quando accanto alla forma volgare piú spontanea per Caterina ne compare un’altra piú culta,

(1) Si veda piú oltre, p. 422.

(2) Ved. A. Schiaffini, Influssi dei dialetti centro-meridionali sul toscano e sulla lingua letteraria-. I. Il perugino trecentesco (estr. dall ’Italia dialettale, IV, 1928), dove sono molti raffronti col senese. E anche la vasta introduzione dello stesso ai suoi Testi fiorentini (Firenze, Sansoni, 1926).