Pagina:Caterina da Siena – Libro della divina dottrina, 1928 – BEIC 1786681.djvu/76

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giá t’ho detto che non possono fare alcuno bene nel prossimo e me bastemmiano, perché la vita loro fini nell’odio di me e della virtú. Ma perché dunque il faceva? però che egli era stato el maggiore e avevali notificati nelle miserie nelle quali egli era vissuto, si che egli era cagione della dannazione loro. Per la quale cagione se ne vedeva seguitare pena, giognendo eglino al crociato tormento, con lui insieme, dove sempre in odio si rodono, perché nell’odio fini la vita loro.

CAPITOLO XLI

Della gloria de’ beati.

— Cosi l’anima giusta, che finisce in affetto di caritá e legata in amore, non può crescere in virtú venuto meno el tempo, ma può sempre amare con quella dilezione che egli viene a me; e con quella misura gli è misurato. Sempre desidera me, e sempre m’ha; unde il suo desiderio non è votio, ma avendo fame è saziato; e saziato si ha fame; e di longa è il fastidio dalla sazietá, e di longa è la pena dalla fame.

Nell’amore godono nell’eterna mia visione, participando quel bene che Io ho in me medesimo, ognuno secondo la misura sua; cioè con quella misura dell’amore che essi sono venuti a me, con quella l’è misurato, perché sonno stati nella caritá mia e in quella del prossimo, e uniti insieme con la caritá comune e con la particulare che esce pure d’una medesima caritá.

Godono ed esultano participando l’uno el bene dell’altro con l’affetto della caritá, oltre al bene universale che essi hanno tutti insieme. E con la natura angelica godono ed esultano, co’ quali e’ santi sonno collocati, secondo le diverse e varie virtú le quali principalmente ebbero nel mondo, essendo legati tutti nel legame della caritá. Hanno una singulare participazione con coloro co’ quali strettamente d’amore giugulare