Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/115

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questioni.

getti d’oro e che quattrini in prestanza. Passa oggi, passa domani; egli mostrava la buona intenzione di non restituirli. La Clodia, che gli regalava le sue carezze, non era disposta per nulla a regalargli quell’oro. Rufo allora la pianta; non senza sospetto d’aver tentato di levarsela di torno con una presina di veleno. La vedovella fa lega con Erennio, con Balbo, con Lucio Atratino, che accusano Celio e lo chiamano in giudizio. Cicerone e Marco Crasso assumono la difesa dell’accusato; denudano crudelmente l’anima turpissima e i sozzi costumi e i delitti di quella femmina, e l’espongono al vitupero del popolo romano e della storia. Celio fu assolto; ma parte della vergogna ricadde anche su lui. Cicerone stesso non può nascondere la vita poco esemplare del suo cliente, che in fatto d’adulterii, di stupri e d’altri simili passatempi godeva, perfin nelle province, una tal quale celebrità.1

Non è a credere però che Catullo si lasciasse accecar troppo dall’ira, quando gli fulmina quell’epigramma che incomincia:

perchè un uomo, che fu pure accusato di quelle tali violenze, per cui va famoso oggidì il nome del padre Ceresa, poteva benissimo meritare il titolo di caprone e di peggio. Gli eruditi però non si acquetano così di leggieri su questo punto. Come mai Celio Rufo, che a testimonianza di Marco Tullio era un bel giovane, poteva poi, come dice il poeta, portare valle sub alarum, crudelem nasorum pestem? Io, che non ho voglia dipor-

  1. Cicer. pro Cælio, III, u. X.
Rapisardi 10