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Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/24

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18 i tempi di catullo.

avarizia, superbia: cominciarono a rapire, a consumare, ad aver per poco il loro e desiderare l’altrui; l’onore, l’onestà, le cose d’Iddio e degli uomini aveano in tutto confuso; nessuna cosa appensata nè ammoderata. Lo desiderio delle pulcelle, delle meretrici, di tutte altre vanità non era minore. Erano alcuni uomini, che sostenevano contro natura femminilmente, e femmine che tutta onestà aveano recato a pubblico disonore. Anche per cose da mangiare spiavano e cercavano tutto in terra e in mare; dormìano anzi che il desiderio del sonno venisse; non aspettavano nè fame, nè sete, nè freddo, nè stanchezza, ma tutte cotali cose disordinatamente antivenivano.1 Si potea dire benissimo con Giovenale:

                                                  saevior armis
Incubuit luxuria, victumque ulciscitur orbem.2

Sin dall’anno 566 di Roma, la legge Orchia avea cercato di porre un freno ai conviti. Non valse. La legge Fannia che riconfermò indarno la precedente, la Didia che la estese a tutta Italia, la Licinia, quell’altra fatta ad istanza di Silla, la legge Emilia che prescrisse la qualità e la quantità delle vivande, la legge Antia che impose un modo alle spese, l’editto di M. Antonio, la legge Giulia, ed altre assai che si fecero più tardi, non ebbero mai valido effetto; non che moderare, stuzzicaron sempre più la ghiottonerìa.3 Sacerdoti, magi-

  1. Sallustio, loc. cit, trad. Fra Bartolommeo.
  2. Sat. VI, v. 394.
  3. Averani, Vitto e cene degli antichi, lez. II.