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LA POESIA DI CATULLO.



I.


Si può dire dell’arte ciò che si dice del Governo: ogni popolo ha quell’arte che merita.

Dire che i Romani non ebbero un’arte propria, a me pare un’esagerazione, con buona pace di parecchi dottori tedeschi, e di non poche scimmie italiane. L’arte latina fu quale doveva essere. Dati quella costituzione sociale, quelle leggi, quei costumi, l’arte dei Romani non poteva essere diversa da quella che fu: rozza, dura, ferrea dapprima, come l’anima dei primi repubblicani; molle, voluttuosa, corrotta dappoi, come la vita degli effeminati patrizi. Non fu un’arte piena, rigogliosa, tranquilla, come presso i Greci; non ebbe mai quel sereno ed olimpico accordo nella maniera di contemplare la vita e di rappresentarla, non quella trasparente e divina chiarezza d’intelletto e di forma che rende bellissima di tutte la letteratura d’Omero, di Fidia e di Platone; non ebbe mai una fede, una missione definita, un apostolato. Un popolo che tutto s’affida alla