Pagina:Cecilia.djvu/4

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trovava con questa nuova famiglia, composta del vecchio capo di casa, di nome Sebastiano, della massaia, del loro figliuolo ammogliato e di due ragazzetti. In questa casa ell’era estranea. Quantunque per la sua condotta esemplare fosse amata, pur tuttavia sentiva di non appartenere ad alcuno; non uno di quei pensieri affettuosi, che tanto consolano i mesti, era per lei; invano ella cercava quella familiare dimestichezza, quell’espansione del cuore, a cui si sarebbe tanto volentieri abbandonata, se avesse saputo d’esserne corrisposta. Ahimè! fra tal gente rozza e priva d’ogni senso gentile, ella sola anima privilegiata ed infelice!

Correva il caldo mese di Luglio. In quello forse più che in altro mese dell’anno i contadini sono affaticati pei campi a fine di mietere il grano. La mattina, appena sorta l’alba la Cecilia, come sempre, balzava in piedi, e raccolte alla meglio sul capo le bionde trecce, e indossate le povere vesticciole, seguiva gli altri al troppo per lei penoso lavoro. Chinata sotto la sferza del sole, sentiva ardersi le guance da insopportabile calore, larghe stille di sudore le cadevano dalla fronte, sembrava impossibile ch’ella potesse resistere a così dura fatica. E dopo una giornata così trascorsa, spossata, la sera faceva ritorno a casa. Ahi! che non le carezze di una madre affettuosa, non le amorevoli parole di un padre, non la schietta e vivace gioja di una sorella vi ritrovava. Unico conforto allora le era all’amarezza, dalla quale sentivasi ricolmo il cuore, presa la mezzina per andare ad attinger l’acqua ad una fonte poco distante, di assidersi su di una pietra a quella vicina, e nascosta la faccia tra le mani dar libero sfogo alle lacrime irrompenti. Talvolta anche, levando al Cielo il volto bagnato di pianto, e mirando le stelle che grado a grado si disvelavano al suo sguardo nell’ampia