Pagina:Cecilia.djvu/6

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II.


Il giorno dopo ricorreva la festa del titolare della chiesetta di Bivigliano, villaggio al quale apparteneva la famiglia presso cui era Cecilia. Già da qualche giorno si vociferava dell’insolita bellezza di questa festa, dell’abbondanza del pranzo, della varietà dei giuochi che si dovevano fare la sera dopo le funzioni religiose. E questo insolito sfarzo procedeva dall’essere stato fatto quell’anno festajolo il padrone della fattoria, nella quale era compresa la famiglia di Sebastiano, ond’egli, oltre il consueto regalo, solito a farsi da chi ottiene questo titolo per la celebrazione della festa sacra, aveva pur voluto rallegrare i contadini con dei divertimenti. La chiesa addobbata con più lusso, la bandiera inalberata sul campanile, disposta l’illuminazione per la sera lungo il viale che dalla parrocchia conduce alla villa, preparati i palloni volanti, i fuochi del Bengala, inalzato l’antenna o cuccagna, annunziato il palio nei sacchi ed infine l’invito fatto a due bande dei paesi circonvicini per suonare alternativamente fino a sera inoltrata, erano tutte cose che facevano grandissima impressione su quella povera gente non usa a tanto scialo, e formava il soggetto delle loro conversazioni, e quel giorno era aspettato da tutti con somma ansietà. Spuntò finalmente. Appena le campane della chiesa cominciarono a suonare a distesa si vedevano venire da ogni lato torme di contadini vestiti dei loro abiti di gala. Il sole sfavillante di splendore, dardeggiava coi suoi raggi la terra; puro e senza una nuvola il cielo faceva prevedere una caldissima giornata. La natura ravvivata dalla mite aura notturna si destava in tutta la sua sfolgorante bellezza. Quei monti, ricoperti di verdura o rivestiti di folte boscaglie, inalzavano al cielo un profumo di mille fiori, e nell’aria si