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| 172 | c. giulio cesare |
deva ininterrotta avrebbe fatto ritardare gli inseguitori Romani. Già si preparavano nella notte a far ciò, quando le madri di famiglia all’improvviso accorsero tra la folla: gittatesi piangendo ai piedi dei loro uomini, pregarono e scongiurarono di non abbandonarle insieme coi figli al supplizio dei nemici, poichè la natura non consentiva a donne e fanciulli gli strapazzi di una simile fuga. Ma quando videro che i loro uomini si ostinavano — poichè di solito e nei momenti d’estremo pericolo la paura rende insensibili alla pietà — esse cominciarono a gridare e ad avvertire così i Romani dell’imminente fuga. Temendo allora i Galli che la cavalleria dei Romani tagliasse loro la via rinunziarono al progetto.
L’assalto di Avarico - Il massacro.
XXVII. - L’indomani Cesare, fatta avanzare una torre e riparati i terrapieni che aveva costrutto, considera una violenta pioggia — venuta all’improvviso — come favorevole all’attacco; poichè aveva notato che sugli spalti le sentinelle non erano più disposte con la consueta cura. Ordina adunque ai suoi di rallentare il lavoro e spiega loro il suo piano. Fatte mettere le legioni in assetto di combattimento, arringatele di nascosto al di qua delle vinee[1], le incita a cogliere finalmente con la vittoria il frutto di tante fatiche e promette ricompense a coloro che per primi avessero scalato le mura.
Ciò fatto dà il segnale dell’assalto: tutti balzano fuori all’improvviso da ogni parte e gremiscono rapidamente le mura.
- ↑ Cioè al di qua dei cammini coperti (citra vineas) e quindi dietro le linee delle trincee.
- ↑ La forma «cuneatim» si ritiene un’interpolazione successiva perchè non trova riscontro nella prosa classica. Nondimeno essa può riferirsi al linguaggio militare corrente, e potrebbe alludere o al tentativo degli assediati di ordinarsi a «cuneo» allo scopo di aprirsi un varco attraverso il cerchio dei vincitori; o alla minaccia di resistere in una formazione chiusa — specie di quadrato — ad ogni ulteriore attacco dell’avversario.