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xxvi Panzacchi, Tolstoj e Manzoni

che ferisce in pieno petto il più insigne documento della sua anima d’artista, la parte più preziosa del suo viatico verso la posterità e la gloria.

Un biografo di Manzoni ci ha lasciato un toccante ricordo dell’ultimo tempo della sua vita. Il venerando uomo, avvertiti gli effetti disastrosi che la tarda età andava producendo nelle sue facoltà percettive, volle riassumerli in questo distico:

Bocca, naso, occhi, orecchi e, ahimè!, pensiero,
Non ho più nulla che mi dica il vero.

Un ricordo toccante ho detto; e avrei anche potuto dirlo ricordo lugubre, quasi tragico. Non è forse a noi argomento d’infinita pietà questo sorprendere un uomo, che per tutta una lunga esistenza aveva saputo scrutare con sì forte acume i segreti dello spirito e che aveva osservato con penetrazione così sottile la grande scena dal mondo, sorprenderlo dico, mentre egli assiste al tramontare, allo spegnersi della sua intellettualità, rimanendogliene però sempre abbastanza per avvertire il fatto, descriverlo e quasi scherzarvi sopra con rassegnazione malinconica?

Eppure io mi compiaccio molto che quell’umile documento dello spirito senile di Alessandro Manzoni non sia rimasto sconosciuto. Mi pare che quei due versi non suonino male nella pia sera della sua grande giornata; poichè ce lo presentano fino all’ultimo quale egli fu veramente in tutta la vita: osservatore rigido e vigilante d’o-