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[562-564] Giorno e notte 169

e l’invocazione (nelle medesime scene):

                           ....Vogl’io
             Quelle sembianze care
             Ancor contemplare
             Al pallido chiaror
             Che vien dagli astri d’ôr.

«Chi fu la bella ispiratrice? Ora dormirà certo in qualche cantuccio di cimitero, forse presso alle ceneri di Shelley, e mentre vivrà sempre l’armonia che partì dalla sua bellezza, quante primavere avranno sparso fresche erbe sulla terra sotto a cui giace inconsapevole della sua gloria!» (Paolo Lioy, nella Nuova Antologia, 1° aprile 1896, pag. 460).

Ma se non ci sono nè luna nè stelle, diremo allora che:

562.   Era la notte e non si vedea lume.

(Ariosto, Orlando furioso, c. XI., ott. 6).

Il qual verso ricorda l’ottava balzana (ovvero alla burchiellesca), pur citata assai di frequente, che il servo Brighella recita nell’atto III, sc. 7, del Poeta fanatico del Goldoni:

      Era di notte e non ci si vedea,
         Perchè Marfisa avea spento il lume.
         Un rospo colla spada e la livrea
         Faceva un minuetto in mezzo al nume.
         L’altro giorno è da me venuto Enea,
         E m’ha portato un orinai di piume.
         Cleopatra ha scorticato Marcantonio;
         Le femmine son peggio del demonio.

Ma torniamo alla notte, e sia pure notte oscurissima e fitta, purchè non sia per alcuno la

563.   Notte per me funesta!

che spaventò Desdemona nell’Otello, melodramma di Rossini (a. III, sc. 3); e neppure la

564.   Notte! funesta, atroce, orribil notte!

dell’Oreste di Vittorio Alfieri (a. 1, primo verso).

Se invece la luna illumina de’ suoi raggi il cielo, si ricordi il principio della romanza di Egidio nel melodramma di Giovanni