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Pagina:Chi l'ha detto.djvu/396

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364 Chi l’ha detto? [1103-1105]


oppure, com’egli stesso altrove aveva detto:

1103.   ....Cose che il tacere è bello.

(Inferno, c. IV, v. 104).

Tace Dante in questo secondo passo per modestia, poichè erano discorsi in sua lode, come nel primo aveva taciuto per non fare le lodi de’ suoi maggiori, ma Francesco D’Ovidio in un articolo nella Biblioteca delle Scuole Italiane, 16 febbraio 1892, p. 145-149, sostiene invece che queste e simiglianti frasi dantesche denotino semplicemente delle preterizioni per amore di brevità; altrove (Purg., c. XXV, v. 43-44) disse, certamente per altra ragione, cioè per onestà del linguaggio:

                              .... ov’è più bello
               Tacer che dire.

Infatti l’uomo di onesti costumi non si permetterà mai un linguaggio sconveniente, memore del detto:

1104.   Imago animi sermo est: qualis vita, talis oratio.1

che è nel trattatello De moribus d’incerto autore, ma in alcune antiche edizioni falsamente assegnato a Seneca; vedi P. Syri Sententiae, ad fidem codd. optim, primum recensuit E. Wölfflin. Accedit incerti auctoris liber qui vulgo dicitur de moribus (Lips., Teubner, 1869), al n. 72-73. La sentenza stessa si trova pure interpolata in qualche edizione dei Mimi di Publilio Siro e la sola seconda parte in qualche testo è attribuita a Socrate.

Tuttavia certe cose che male si dicono in volgare, qualche volta si usa dirle, per rispetto alle caste orecchie, in latino, poichè:

1105.   Le latin dans les mots brave l’honnêteté.2

Come dice Nicola Boileau (L’Art poétique, ch. II, v. 1751) che soggiunge:

Mais le lecteur français veut être respecté.


  1. 1104.   Il linguaggio è lo specchio dell’anima: qual’è la vita, tale il parlare.
  2. 1105.   Il latino nelle parole sfida il pudore.