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[1698-1700] Tavola, cucina, vini, altre bevande 569
ed il famoso verso:

1698.   Poscia, più che il dolor, potè il digiuno.

(Inferno, c. XXXIII, v. 75).
col quale si chiude il terribile e pietoso racconto del conte Ugolino e la cui interpretazione fu soggetto di lunga polemica. «Più fiera battaglia di quella non seguisse per Elena rapita al letto maritale da Paride, si combattè fra i critici al cominciare del secolo per questo verso, cagione di tanto tempo vanamente e inutilmente perduto , dice Giovanni Sforza che narrò distesamente la storia della noiosa controversia nel cap. II del suoi studi storici Dante e i Pisani (nel periodico di Bologna, Il Propugnatore, vol. I, 1868, pag. 673-687): e ancor più prolissamente espose le vicende della lunga logomachia il signor Domenico Cangiano nel volume: Il peccato di Ugolino (Caserta, G. Maffei e C, s. a.).

Ma questi pasti danteschi (un pasto di belva feroce, uno o due da antropofaghi) sono cose poco appetitose, e se vogliamo qualcosa che accomodi meglio lo stomaco, bisogna rivolgersi altrove, per esempio (nè saprei di meglio) al gran pontefice della gastronomia, il celebre Anthelme de Brillât-Savarin (1755-1826), autore della Physiologie du goût, donde traggo due aforismi, il IV e il XV:

1699.   Dis-moi ce que tu manges; je te dirai ce que tu es.1

1700.   On devient cuisinier, mais on naît rôtisseur.2

Al primo dei due aforismi si ispirò Lodovico Feuerbach, quando, nella prefazione alla Lehre der Nahrungsmittel für das Volk (Erlangen, 1850) del Moleschott, scrisse:

Der Mensch ist was er isst.

e quindi ad illustrare quest’aforisma pubblicò una memoria col titolo: «Das Geheimnis des Opfers oder der Mensch ist was er isst.»
  1. 1699.   Dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei.
  2. 1700.   Cuoco si diventa ma rosticciere si nasce.