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[1753-1755] Ubbidienza, fedeltà, rispetto 585

penna e rispose egli stesso al La Marmora questa sola parola: Obbedisco. E con quell’ultima vittoria sopra sé stesso chiuse la campagna.» (Guerzoni, Garibaldi, vol. II, pag. 462).

Il testo del dispaccio spedito da Garibaldi in risposta al La Marmora è precisamente questo:

Bezzecca, 9 agosto 1866.

Ho ricevuto dispaccio 1072. Obbedisco.

Garibaldi.     

La risposta dell’eroe è bella nel suo laconismo, ma veramente non poteva essere diversa. Che cosa aveva egli da aggiungere? Dei cani rimpianti, delle polemiche inopportune? Ma la vera ubbidienza non ammette discussioni, e neppure interrogazioni; lo dice chiaramente Dante in due passi identici della Divina Commedia:

1753.   Vuolsi così colà, dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare.

(Inferno, c. III, v. 95-96 e c. V, v. 23-24).
e anche il Metastasio:

1754.   Il merto di ubbidir perde chi chiede
La ragion del comando.

(Catone in Utica, a. I, sc. 2).
e in questa faccenda il non plus ultra era stato trovato dai Gesuiti, i quali praticavano ed esigevano nel loro ordine la ubbidienza cieca,

1755.   Perinde ac cadaver.1

Ma questa famosa quanto nefasta formola non fu un trovato dei Gesuiti. L'inventore fu Francesco d’Assisi; ed i Gesuiti non fecero che prenderla a prestito dalla Regola di lui, e se ne avvalsero, applicandola con intera severità; vedasi la Vita altera di Tommaso da Celano, II pars. cap. IX: at ille verum deseribens obedientem sub figura corporis mortui; e anche la Vita scritta da Bonaventura nel 1261, cap. VI: corporis mortui similitudinem

  1. 1755.   Come un cadavere.