Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/145

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così si commette il peccato della invidia, in quanto l’uomo à in odio qualunque l’avanza et à meglio di sè, e così l’amore disordinato guida lo misero amatore per questi tre peccati; cioè superbia, ira et invidia. Se il bene temporale dilettevole s’ama troppo, allora lo disordinato amore guida l’amatore in su la nave della gola e della lussuria: imperò che il bene dilettevole temporale dell’uomo, o è secondo lo gusto, o è secondo lo tatto; se è secondo il gusto, commette il peccato della gola; se è secondo il tatto, commette lo peccato della lussuria. E se il bene utile s’ama troppo, allora lo disordinato amore guida l’amatore in su la nave della avarizia, la quale è intorno al bene utile: e così appare come Caron; cioè lo disordinato amore, guida l’anime de’ miseri peccatori degnamente in su la nave de’ peccati all’inferno, il quale bene si può dire vecchio e canuto: imperò che questo disordinato amore cominciò infino alla natura angelica, in quanto vi fu di quelli che desiderarono troppa eccellenzia di sè medesimi. Et ancora si può dire avere li occhi focosi et infiammati: imperò che la ragione e lo intelletto dello amatore fa essere ardente di desideri insaziabili, come lo fuoco: imperò che eziandio colui che ama poco l’eterno bene, l’ama poco, perchè il minor bene; cioè lo temporale, ama troppo; e così appare che à ardente desiderio. E dice ancora il testo che guida per la livida palude; cioè per l’inferno che è luogo pieno di livore; cioè di mala volontà: imperò che quivi non si vuole se non male. Et ancora è conveniente cosa che tale amore sgridi l’anime dei peccatori: imperò che la coscienzia di sì fatto amore grida contro a ciascuno; e che accommiati Dante il quale era vivo, non pur quanto al corpo; ma quanto alla grazia di Dio, sicchè non dovea passare allo inferno come obbligato a pena; ma come conceduto d’andare per grazia; e che altre vie et altri porti sieno quelli di Dante: imperò che Dante passò per grazia, dovente ritornare e non quindi ov’è la via irremeabile; cioè non ritornevole; e che più lieve legno conviene che il porti che la nave: imperò che Dante finge essere portato dall’Angelo come si dirà di sotto, e non dalla nave che è gravissima, che è de’ peccati mortali. E che Virgilio risponda a Caron e faccialo star cheto si conviene: imperò che la ragione dee escusare la sensualità, quando non è colpevole. E che la volontà di Dio faccia stare cheti li demoni è convenevole, perchè nulla può resistere alla sua volontà, e debbasi1 notare che la risposta di Virgilio non è che Dante voglia passare in su la nave; ma è che stia fermo a vedere: imperò che a lui era conceduto dalla grazia di Dio vedere l’inferno tutto,

  1. debbasi. È una di quelle riduzioni di verbi della seconda coniugazione alla prima, le quali truovansi non di rado nelle antiche scritture.  E.