Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/841

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terra, che alla terza volta lo fece crepare; e così ebbe Ercole vittoria d’Anteo. Poi che Virgilio à cattato benivolenzia, domanda Anteo che li metta giù, dicendo: Mettine giù; noi, (e non ten vegna schifo; di farci questo servigio) Dove Cocito; cioè quel fiume che è nel fondo della terra, la freddura serra; questo dice, perchè quivi finge l’autore che si1 agghiacciato. Non ci far ire nè a Tizio, nè a Tifo; e per questo mostra che questi due lo potrebbono fare, come elli: Questi; cioè Dante, può dar di quel che qui si brama; cioè fama, come dirà di sotto; Però ti china; a pigliarci, e non torcer lo grifo; per disdegno. Ancor ti può nel mondo render fama; ecco che manifesta quel che si brama dall’infernali, Ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta; sì che ben ti potrà dar fama, Se innanzi tempo grazia a sè nol chiama: et intende qui del tempo naturale che è novanta anni, o al più cento venti. E notantemente dice grazia: imperò grazia è quandunque2 l’uomo è chiamato: imperò ch’esce delle brighe di questo mondo.

C. XXXI — v. 130-135. In questi due ternari l’autor nostro pone come Virgilio fu preso da Anteo; et elli da Virgilio, dicendo: Così disse il Maestro; cioè Virgilio; e quelli; cioè Anteo, in fretta La man distese, e prese il Duca mio; cioè Virgilio, Ond’Ercole sentì già grande stretta; quando feciono alle braccia, come detto è di sopra. Virgilio, quando prender si sentio; da Anteo, Disse a me: Fatti in qua; cioè accostati a me, sì ch’io ti prenda; cioè ch’io ti pigli, come Anteo à preso me, Poi fece sì, ch’un fascio era elli et io: come l’autore à fìnto che Virgilio, che significa la ragione, lo guidi; così finge ancora che nelli luoghi dubbiosi lo porti: però che nelle cose d’intendimento è conveniente che la ragione guidi e porti la sensualità; e non la sensualità la ragione. Et ancora si conviene, secondo l’allegoria, che Anteo metta costoro nel fondo dell’inferno, ove si punisce lo radicale peccato della superbia: imperò che lo superbo fa discendere la ragione a considerare lo peccato della superbia e le sue pene; e secondo la poesia, fu bella fizione, poichè non finge che v’avesse alcuna scala; e questo fece, per mostrare che lo superbo fosse conveniente scala.

C. XXXI — v. 136-141. In questi due ternari l’autor nostro pone una bella similitudine, dicendo che tale li parve Anteo quando si chinava, qual pare la Garisenda che è una torre in Bologna ensù3 una piazza, da Porta Ravignana, grossa e non troppo alta; ma è piegata verso un’altra torre più sottile, molto più lunga, che si chiama

  1. Si; sia, come non di rado s’incontra appresso gli antichi. E.
  2. Quandunque; quando. E.
  3. Ensù, insù, dove scorgesi il facile scambio dell’i in e, come in enfiato, enemico, vertù ec. E.