Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/885

Da Wikisource.
[v. 139-150] c o m m e n t o 841

quando fìnge che avesse questa deliberazione, messer Branca d’Oria non era ancor morto: dicesi d’Oria, perchè fu di quelli di casa d’Oria e finge l’autore che frate Alberigo dica ser Branca: imperò che fu romagnuolo, e questi romagnuoli non sanno onorare alcuno con parole; o che ’l dica per istrazio: imperò che i Genovesi tutti si chiamano messere; e però dice: e son più anni Poscia passati, ch’el fu sì racchiuso; in questa ghiaccia.

C. XXXIII — v. 139-150. In questi quattro ternari l’autor finge come, ragionato con frate Alberigo di messer Branca, elli si partì da lui sanza farli il servigio addomandato, dicendo così: Io credo; dice Dante a frate Alberigo, col quale à parlato infino a qui, diss’io lui; cioè diss’io a lui, che tu m’inganni: dicendo che dietro ti sia Branca d’Oria; e però dice: Chè Branca d’Oria non morì unquanche; cioè non è morto ancora, E mangia e bee e dorme e veste panni; che sono segni che l’uomo viva. Nel fosso su, diss’el; cioè disse frate Alberigo, dei Malebranche, Là dove bolle la tenace pece, Non era giunto ancora Michel Zanche: questo fu lo suocero di messer Branca, ucciso da lui a tradimento, come detto fu di sopra, cap. xxii, Che questi; cioè messer Branca, losciò il diavolo in sua vece Nel corpo suo; et un suo prossimano; cioè di Michel Zanche: imperò che concorse con messer Branca a fare il tradimento, e così lasciò un diavolo a governo del corpo suo, come messer Branca, e però dice: Che il tradimento insieme con lui fece; cioè insieme con messer Branca, e che fosse parente di Michele, appare per lo testo di sotto: pone che inanzi che morisse Michele Zanche, costoro fossono nell’inferno, perchè, fatta la deliberazione del tradimento, finge l’autore che l’anima sia menata all’inferno. Ma distendi oggimai in qua la mano; dimanda e richiede frate Alberigo a Dante la promessa, finito il suo sermone, dicendo che distenda la mano ad aprirli li occhi; e però dice: Aprimi li occhi; ecco che domanda, et io; cioè Dante, non gliel apersi; bench’io gliel avessi promesso quanto al suo intendimento; ma non al mio che puosi, che s’io non gliele aprissi, mi convenisse andare al fondo della bolgia, com’io voleva e doveva andare, E cortesia fu in lui esser villano; questo si intende che il non far cortesia a frate Alberigo fu cortesia: imperò che non si dee fare villania al maggiore, per fare cortesia al minore che non la merita; aprir li occhi a colui era secondo la fizione di Dante fare contro alla giustizia di Dio, la qual cosa sarebbe stato grande villania, e però non farlo fu cortesia: ancora mondanamente si può dire che cortesia è non fare cortesia al villano che non la merita.

C. XXXIII — v. 151-157. In questi due ternari et uno verso l’autore fa una invezione contra i Genovesi, dicendo così: Ahi Genovesi, uomini diversi D’ogni costume; cioè differenti da ogni costume