Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/888

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844 i n f e r n o

19Dinanzi mi si tolse, e fe restarmi,1
      Ecco Dite, dicendo, et ecco il loco,
      Ove convien che di fortezza t’armi.
22Com’io divenni allor gelato e fioco,
      Nol domandar, Lettor, ch’io non lo scrivo:
      Però ch’ogni parlar sarebbe poco.
25Io non mori’, e non rimasi vivo:
      Pensa oggimai per te, s’ài fior d’ingegno,
      Qual io divenni, d’uno e d’altro privo.2
28Lo Imperador del doloroso regno
      Dal mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia;3
      E più con un gigante io mi convegno,
31Che i giganti non fan con le sue braccia:
      Vedi oggimai quant’esser dee quel tutto,
      Che a così fatta parte si confaccia.
34S’el fu sì bel, com’egli è ora brutto,
      E contra il suo Fattore alzò le ciglia,
      Ben dee da lui procedere ogni lutto.
37O quanto parve a me gran maraviglia,
      Quando vidi tre faccie alla sua testa!
      L’una dinanzi, e quella era vermiglia;
40L’altre eran due, che s’aggiugneano a questa
      Sovresso il mezzo di ciascuna spalla,
      E si giugneano al sommo della cresta.4
43La destra mi parea tra bianca e gialla;
      La sinistra a vedere era tal, quali
      Vegnon di là, onde il Nilo s’avvalla.

  1. v. 19 fe ristarmi,
  2. v. 27. d’uno e d’altro privo. Sintassi mentale, dove riesce agevole intendere privo della morte e della vita. E.
  3. v. 29. C. M. Da mezzo il petto
  4. v. 42. C. M. E sanguinato al sommo della cresta.