Pagina:Commedia - Inferno (Lana).djvu/41

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I latini del Cod. Di-Bagno sono netti correnti; e il copista nulla sapeva di latino: tant’è vero che in fin del codice facendo di suo pose: Jacobus de placentia scrpto sc’ psit millo MCCClXXXVI fuit finitum hc librum nocte nativitatis etc. Con tale ignoranza resi fedeli i testi bisogna tener fermo che tutto il resto era secondo l’innanzi; quindi l’innanzi suo, ch’è pur quale il testo della Vindelina ma assai migliore, condanna il Galvano e la sua dizione. A sicurare il giudizio e a confondere coloro che fossero ancora per essere tirati dall’autorità del Palermo fia ben portare innanzi alcuni monumenti che hanno voce di essere scritti in bolognese antico, il quale di vero bolognese non è, o se bolognese, pure è d’una mescolanza e non altro.

Una leggenda di san Petronio, che si asserì un poco ripulita dall’antico, e scritta nel secolo XV, fu stampata a Torino nel 1861. A pagina 214 ha questo tratto: «L’imperadore disse: fijoli e fratelli miei, che era la cazone che voi stevati come muti quando io ve domandava conseglio? Allora l’imperatore Teodosio fè chiamare Misèr san Petronio so cugnado. Siando l’imperadore con li baroni soi alora san Petronio vene denanzi a l’imperadore e disse: Miseri che ve ne piace? rispose l’imperadore e così li disse: Cugnado mio tu sipi el ben vegnudo e sì lo prese per mano e disse: Cognato mio e fratello mio, per mistero è che tu vadi al santo padre misèr lo papa Celestino e dirai da mia parte che ’l me fa gran besogno e mistero dell’aiutorio e del conseglio soe cumzosiecosachè in le contrade de Grecia si s’è levada una malvase seta de gente pessima. Zo eno eretisi maledetti li quai vanno predigando centra lo nome di Cristo. Allora san Petronio rispose e disse: Misèr io volo» andare». E a pagina 225: «Pasando uno die questo cavalero per la contrada denanzi del palazio del Prencepo che v’o io dito e un fante del Prencepo si butò uno mastello d’acqua ch’era lavadura de scudelle e d’one altra brutta cosa butando ella zozo questa cadè ados a questo cavalero». E in tutta la leggenda furono con maggior desiderio indicate le voci vèneno, arivòno, aparve, siando, suso, elio, è mo, eno, che sono proprie di tutta antica Italia, e come dirò più innanzi proprie e genuine alla lingua: e feva, digando, dagando, desveiose, fijoli, zò, tignare,