Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/238

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112 INFERNO H nel lume divino esse vedono le cose del mondo; Agostino par che ne dubiti là dove dell'amata sua madre dice: S'ella vedesse il dolor mio non può che non venisse a consolarmi in visione. Ma cotesto , ben nota Tommaso, è detto in forma dubitativa ; e altri potrebbe soggiun- gere die é voce di troppo umano dolore, sfuggita all'uomo non ancora maturo nella meditazione e nell' esercizio delle cristiane cose , e di spiriti pagani imbevuto. E non é questo il solo passo dove Agostino poteva parere men che maturo a'Crisiianì così fortemente severi com'era Girolamo, e meritarsi parole di querela sdegnosa, alle quali egli, gio- vane tuttavia, mal rispose con alteltata e quasi schernevole riverenza. Segue Tommaso : Le anime de' morti possono avere cura delle cose de' viventi anco che ignorino il loro stato ^ come noi abbiamo de'morti ancorché il loro stato ignoriamo. E posson anco conoscere i fatti dei viventi^ non di per sé, ma per le anime di coloro che di qui vanno ad esse. Agostino: Fatendum est nescire mortuos quid agalur , dum agitur , sed postea verum audire ab cis qui hinc ad eos moriendo pergunt. per gli angeli , o pe'dentonìi , o che lo spirito di Dio lo riveli. Ecco dunque la prima parte della supposta invenzione di Dante , cioè l'opportunità del narrare egli vivo a' morti le cose del mondo ^ fondata nella tradizione de' tempi. Quanto al preconoscere esse anime il futuro, sebbene nell'Ecclesiaste sia detto : Sed ìiec eorum quidem, quaè postea futura sunt, erit recordatio apud eoSj qui futuri sunt in novissimo (1); e sebbene Tommaso anch'egli affermi che l'anima se- parata non conosce le cose future, le quali non essendo enti in atto , non sono in sé conoscibili, perchè quel che manca d' entità manca di conoscibilità : nondimeno egli slesso concede che esse conoscono l'av- venire in parte nelle cagioni di quello, e dietro agi' indizii delle cose passale, la cui memoria non é spenta in loro. E possiamo aggiungere che r intelletto, sgomb-o dal peso de'sensi , siccome Dante dice del- l'anima dormente .2, raccogliendo in sé più chiaramente il passato, ne deduce meglio che gli uomini non possano, l'avvenire. Forse avrà Dante di ciò avute agli occhi altre autorità che a noi non ricorrono (per esempio i Bollandisti, 1-1050: Diabolus licet tutius caput obtineat mendaciii multa tamen , conjiciendo de his precipue quae frequenter evenerunt, praenoscit) e avrà forse pensato che la ignoranza del pre- sente ai dannati era pena ; ai purganti diminuzione di pena : e così l'antiveggenza del futuro a quelli maggiore tormento i3» pe'mali che leggevano in esso cagionati da'propriì peccati e dagli altrui; a questi cagione di pentimento , ed insieme anticipazione di quel soddisfaci- mento che le anime rette provano nel vedere adr-mpilo comecchessia r ordine della giustizia infallibile. A soste^rno di questa , che non é mera invenzione, viene anco la comune opinione de' Padri (4) , che il demonio innanzi l'avvenimento di Cristo lo prevedesse, e nato lui non lo sapesse riconoscere come vindice della scliiava imianità : pen- siero, lasciando stare gli argomenti teologici , di lilosofica sapienza , che accenna a una generalissìma legge, cioè, gli S|)iriti erranti cono- scere sempre tanto del vero quanto basta o ad illuminarli o a pu- lirli^ e l'ignoranza di alcuna parte d'esso vero essere loro data in pena dell'averlo disconosciuto e opjmgnato. Am'iìiccmortnnrum rebun vincììtiiim non avvte saranno ci dannati tormento, inlersuiit. Ibi sunt ubi ea quas hìc fiunt {h) Ang , 2 Gru. : Gli .tpiriii iu.nion- scire ììon possunt, di è ficrinessit che snpfivino tilcnn che (1) ì, 11. di vero delle cose temporali. - Nella (2) Purg., Vin. Somma è toccato di quel cliei doiDonii (3) Som,^ Siippl. 98 ; Le cognizioni sappiano del futuro (i, 86 •, 2, 2, 9h).