Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/278

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146 INFERNO silTatte contradizioni morali, che in lui sono sforzi di equità politica, gli esempi non mancano nel poema : e por questo egli colloca tra' beali Costantino, la cui dote donata al Pastore di Roma , siccome a' tempi di Dante crede vasi, fu madre di tanto inale^ ma non toglie la buona intenzione che fece mal frutto (1). E quanto a Catone, egli avrà cer- tamente avuta al pensiero la sentenza paganatuenle rettorica di Lu- cano ; La causa vincitrice piacque agli Dei, a Catone la vinta. E Dante era animo da mettersi volontieri dalla parte de' vinti si per genero- silcà, e sì perchè non ignaro degl' immeritati dolori. Né egli ignorava come tra gli uomini dell'età di Catone un de' più sguaiati lodatori della vittoria (2), forse per adulare anche così la riverenza da' Cesa- riani affettata per pudore e per arte verso la memoria di Catone, chia- masse la fine di questo, nobile letum ; che rammentali wo&ififer mori, detto ne' Maccabei (3) del suicidio di Razia. « Razia, un de' seniori, da Gerosolima fu condotto a Nicànore. Ra- zia, uomo amante della p; tria e d'autorevole fama , che per affetto padre de' Giudei era chiamato. Questi per molto tempo si tenne fermo nel proposito del giudaismo, contento d'offrire in pegno di sua per- severanza il corpo e la vita. Or volendo Nicànore manifestare 1' odio che aveva contro i Giudei, mandò cinquecento soldati che lo prendes- sero: che si credeva, pigliando lui, poter fare de' Giudei grande strage. Or volendo la schiera far forza nella sua casa, e sfondare la porta e metterci fuoco, già stando per essere preso, si trafisse di spada, eleg- gendo morire nobilmente anziché farsi suddito a' tristi, ed essere mal- menato da ingiustizie non degne dell' orìgine sua. » Le quali ultime parole Contra uatales suos indignis injuriis agi, io intendo non delle onte da temere per la sua nobiltà, ma delle violenze eh' egli avrebbe patite come Giudeo, perchè fosse in lui offesa e la religione e la pa- tria, e così scuorati i fedeli , e imbaldanziti ì nemici. Questa inten- zione rende più scusabile l'atto narrato, atto che san Tommaso non loda ; ma che Dante poteva riconoscere somigliante a quel di Catone.; e porre differenza tra Bruto che, ucciso Cesare amico e quasi padre , muore rinnegando la virtù, e Catone che, senza atto o parola d'odio, anziché continuare, come poteva, le stragi civili, uccide sé stesso tran- quillamente dopo Ietto Platone, laddove ragiona dell' immortalità, rac- comandandosi l' anima come poteva un pagano alla cui fede non era colpa il suicidio, anzi lode. Tommaso stesso commenda la morte vo- lontaria di alcune sante che così intesero sottrarsi alla colpa e alla \iolenza tirannica, la commenda come un' ispirazione di Dio. E an- che secondo la filosofia umana può dirsi che se nel punto dell' uc- cidere sé stesso l'uomo crede fermamente che dall'un lato non v'è altro scampo al peccare, e dall'altro che la sua morte per le altrui mani è inevitabile, e se crede che l'esempio dato da lui può confer- mare nel bene i fratelli, sarà errore il suo dì intelletto, o, se vuoisi, una mania parziale , ma può non essere giudicato certamente per (4) Inf., XIX ; Par., XX. una mossa guerriera di Cesare ; Utica^ (2) Orazio (Od. 11,7): relieta non la morte dell'avversario di luì. E di bene parmula. E distendendo ad altrui ta'i accenni di indiretta Insinga e tanto le vergogne proprie: mìnaces Turpe più serpentina, Orazio era dotto ; sic- solum tetigern mento. E forse un altro come quando, parlando di pazzi, no- aciennodi adulazione vile, laddove mi- mina Labeone il giureconsulto aniiao- naccia per celia al suo libro: Aut fu- so (Sai., 1, 3.) gies Uiicam ; aut vinctus miUerÌH Ilcr- {'i) Mnehab., ti. dam (Epist., 1, 20). lierda rammentava