Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/426

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290 INFERNO castello dì Val d'Arno; il qual pian- se non la sua morte, ma ler la sua morte , dacché per vendetta di lui molti furono uccisi d' (Quegli abii.antl. Tre de' lioientini l^^dri ap(>Mrisfion dapprima: A.^nolo , Banso, Pa'-cio ; Agnolo domanda ov' è Gianfa : Cianfa in forma di ^erpe a sei piedi, viene e s'incurpoiM a lui Buoso, Assalito da un serperitnlio. che òGuercio Cavalcante, si trasforma in s^-r e : G'iercio in uomo. Il solo che non muti , gli é Puccio. Quanto ha di più fiero il secolo piattosto che il cuore di Dìnte, rli- slilla dal verso: Mi fur le serp' ami- che E queste paf-ole sono tìero com mento ai suoi atti, del coli^-tr^^'"- per alcun tempo a malvagi e i scempi , e dell'invocare '• ' >/.< stumirira. Alle italiche don ic fi' o imuiaitìo Tra i più i-'oieuii versi del Canio, sono : Che non potei con esse dare un crollo, — Lo trafitto ti mirò, ma nulla disse ^èda questo e dagli al- l' l OSI fortprafule lem orati , sgna- gliano al spnlire mio, quagli schiet- ti; lo non gli conoscpa: ma e' ve* iwtte C'irne mot seguitar per al- ci'» caso Ch^ Vuìi nomare aW altro convenette.