Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/429

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CANTO XXV. 293 bero è detto il gran vermo (1), e Luf^ifero nella visione dWlberico COSI come in quella (li Dante, il vermo reo che il mondo fora; e nel Salmo (2) la balena è dragone. Amos: Mordeat eum coluber (3). - Mandabo serpenti et mordebit eos (4). Gregorio (5): Cauda sua mea genua pedesque rolligavit , caput suum intra os m um mittens^ spiritum nieum ebibens extrahit (6). Armannino deijrr invidiosi : Di corpo esce loro un nero serpente, il quale si rivolge loro intorno, insino alla bocca: quivi morde loro gli occhi e poi la lingua, e poi ritorna al cuore, e quello gli passa col forte aguglio. Queste ima?:ini illustrano le dantesche: e così qupll' ac- cendersi di Vanni Pucci al morso del serpente, e ardere , e farsi ce- nere a un tratto, e poi la cenere raccogliersi e rifarsi uomo, e questo continuo rivivere per di nuovo morire , è idea che ha forse il suo germe nel passo d' Ezechi'^le: Producavi. ... ignem de medio tui , qui comedat te, et dabo te in cinerem super terram in conspectu omnium videntinm te (7); e in quel di Lucano: Hoc et fiamma potest. Sed quis rogus abstulit ossa? Hobc quoque disc edunt, pntresque secuta me- dullas Nulla manere sinunt rapidi vestig a f ti -S). E cosi forse il dissolversi de' due dannali al tocco l'un dell'altro e appiccicarsi e confondersi gli sarà venuto da quel di Lucano: Ossaque dissolvens cum rorpore tahificus Seps (9). r<é Dante dimenticava , insieme col Jaculo di Lucano, che si slancia e porta passando la morte, il ser- pente che Aletto avventa in seno ad Amata: Huic Dea caeruleis unum de crinibus angucm Conjirit, inque sinus praecordia ad intima subdit: Quo furibunda domum rnondro permisceat omnem. lite, inler vpstes et laevia pectora lapsus, VolvUur attaclu nullo , fallitqne furentem , Viperenm inspirans animnm: fit tori le collo Aurum ingens coluber, fit longae taenia vittae, InnectUque comas, et membris lubricus errai. Ac dum prima lues udo sub'apsa veneno Pertentnt sensus, atque os- sibus implirat igncni HO)...; dove segnatamente le parole vipeream in- spirans animam con quel di Gregorio spiritum meum ebibens extrahit lo potevano condurre all'idea della orribile trasformazione di serpente in uomo e d'uomo in serpente E della mutazione in generale, anco della più ordinaria in quel ch'ell'abbia di misterioso, tocca Aristoiele con profonde parole (11). E pare ch*^ tutti i serpenti ond'é fitta l'arena infernale siano ladri lutti, che ad ora ad ora ritornino in uomini; e che col morso s'attossichino a vicenda. — L'Anonimo e Pieiro qui fanno una distinzione di ladri che non può e-sere tutta di loro fan- tasia: ve n'é, dicon essi, che rubano d'elezione alcuna co^a , l'altre non toccano, come il Pucci: questi al mordere del serpente, cadono in cenere, poi tornan uomini. C'è de' ladri che han sempre l'animo al furto, ma non sempre lo tentano: e questi diventrono mezzo tra uomini e ser|)i, dopo- morsi da quelli Ve n'é che rubano non sempre, ma colto il momento: e quesii d'uomini si fanno serfii, e di serpi uo- mini: fìnch'e'son ladri, lasciano l'umana forma, poi la riprendono. Altre distinzioni pongono i comentatori de' ladri complici , e mezzo (1) I.if., VL (8) Phnrs., IX. (2) Psal, CHI, 27. (9) Phars., IX. {3)V. 19. (IO) .Eli., ' II (4) IX, 3. ( i l)Aii^t. Fis.,VI: ycecsxé eat idquod (5) l)i;d.. XXXVin. mulfilum est,cnm pn'iiunn niutafufn est, (6) Dante Gli ahlenlò e l' H»a e in eo exse in qnnrl mnhtluin est. !S(i)n r nitro ijuancia... E misegli la coda quoliwUutur ub eo exit ex quonintalnr, ir'amcndnp. aut ipsum deseril. (7) XXVni, 48.