Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/472

Da Wikisource.

336 INFERNO et eum qui seminai inter fratres discordias. Il Poeta ebbe in pensiero queste parole costru<?ndo l'Inferno. Le mani pronte al sangue trove- remo anche in questo Canto co' seminatori di scandali; i mentitori e i testimoni falsi nel se}?uente ; i pensieri di triste machlnazioni sono nel XXVI. Anco Virgilio nell'Inferno suo mette: quique arma secuti impia (1): e Dante Ira costoro rincontra, oltre a parteggiatori di re- pubblica, i tristi consiglieri dei re : Homo perversas suscitai lites, et verbosus separai principes (2). Bertrando del Bornio, che dal figliuolo divise il padre, porta in mano la propria testa, uno in due e lucerna dì sé a sé stesso, e la leva in allo per far meglio intendere le paro- le. S. Agostino, nota il Lombardi, dimostra l'abilità dell'anima ad informare corpi separati, con l'esperienza de'polipi. In un dipinto se- nese un santo ristretto in un canto sì che non ci cape tutta la perso- na, prende in mano la sua testa e la sporge permeglio vedere il fatto suo. In una leggenda bretone : Vi taglieranno la (esta^ e vivrete : se la getteranno i demonii l' un l' altro, e vivrete. In un'altra del. po- polo stesso santa Trifina condannata a morte, esclama: Il dì del giu- dizio i'mi presenterò a Gesù Cristo con in mano il mio capOj ed egli lo farà vedere a' miei condannatori e saranno maledetti. Una Canzone, atttribuita a Dante, di Firenze dice: E la divoran.... Simon mago... e Macomeic -cieco. E il Villani: / Fiorentini sono sem- pre in iscisma e parti e divisioni fra loro. Ma il più strano e più amaro a pensare è che Dante, dopo dannato Curione, consigliatore a Cesare della guerra civile, e dopo tradotto il verso di Lucano : nocnif rf«//erre paratis 3), egli, Dante, ridice questo verso ad Arrigo imperatore per moverlo contro Firenze sua patria. E veramente tra il caso di Curione e quel di Dante era trista conformità : Sed postquam Uges belìo silu- ère coaclae, Pellimur e patriis laribus, patimurque volentes Exilium. Tua nos faciet Victoria cives. Senonché forse Dante, il qual non pa- tiva volontario esilio, non avrà riguardata la sua come guerra civile, anzi come la fine delle guerre civili, incur.ibili, al suo parere, altri- menti. Non è però da dissimulare che siccome un senso d'equità gli fece dannare l' istigatore di quel Cesare , del resto già ad bellum prono, il cui impero il Poeta stimava onore e salute d' Italia; così poi la passione irritata, e scusante sé stessa con, Dio sa, quanti prelesti, e fors' anco la smania erudita di citare un verso d' antico e mescolare sciaguratamente la letteratura con la diplomazia, lo tentò a fare abuso rtella memoria in così scandalosa maniera. Nota in questo Canto, segnatamente nel principio, i costrutti lunghi e involuti, che ritraggono la qualità della colpa e della pena dipinta. Poi, quanto memorie in esso! D'antichi, Turno, Annibale, Maometto e Ali, Curione, Achitofello: di moderni, la rotta di Manfredi, la rotta di Corradìno, Fra Dolcino, Pietro Cattani, il Mosca, Bertrando; gli scismi religiosi e politici. Firenze e la Romagna e il regno di Napoli, il Piemonte, l'Inghilterra e la Fran'^ia, e l'Oriente, e le divisioni de- gl'imperi e de' regni e'delle repubbliche; e cittadini e principi «cor- tigiani e frati ; e un de' suoi conoscenti e un ^suo congiunto, e uno degli uomini da lui ammirati posto fra tre fondatori della moderna poesia, là nel Volgare Eloquio dove egli, Dante, nomina sé cantore della rettitudine, Gino dell'amore, Bertrando dell'armi. Questa va- rietà di memorie aggiunse alla fantasia porrne e vita, fa la poesia ve- ramente euro'iea. Tale equità nel riprendere anco i riveriti e gli amati è, specialmente a' dì nostri, esemplare. Che gli uomini voglionsi, se- condo il colore di parte, ó vermi o Dii. (1) iEii., VI. (3)Phars. I (2) IVov., XVI, 28.