Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/77

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OiilLTA DI DANTE. L>^IX sto e dell'ingiusto, tutta la morale e la più alta parte della politica, essere indipendenti dagli arbitrii della regia po- testà. Promulgatore e custode della ragiono scritta poneva Dante l'Imperatore; che il popolo non gli pareva da tanto, e la nobiltà forse meno. Al principio della real potestà era egli dunque venuto, parte per questo ragionamento fondato non sulle universali ragioni delle cose ma sulla convenien- za del governo, secondo lui. men disadatto all'Italia d'allo- ra; parte per le passioni politiche, le quali al ghibelline- simo l'avevano trabalzato. Ond'egli, tra per sofisma di pas- sione, tra per espediente di politica pratica, diceva l'Impe- ratore essere cavalcatore dell'umana volontà: e il medesir mo risuonava ne' versi dove chiama l'Italia cavalla indo- mita, e ai preti briganti rimprovera che non lascino seder Cesare sulla sella. A' preti briganti, non alla natura dei tem- pi, attribuiva il Poeta quella febbre d'inquieta libertà che travagliava l'Italia; febbre che i principi stranieri potevano non ispegnere, ma con la presenza loro irritar piti che mai. So quelle contenzioni tremende avesse l'ecclesiastica pote- stà temperate con la leggo divina, non inacerbite con le limane ambizioni. Dante non avrebbe forse avuta occasione d' invocare estrani soccorsi, e sarebbe vissuto Italiano pretto, e uomo tutto di repubblica; e i nomi di Guelfo e di Ghibel- lino sarebbero in piccol tempo iti in disuso. Ma, ripetiamo, se le cose politiche voleva l'Allighieri al- l'imperiale autorità sottoposte, libere ne voleva le intellet- tuali e le morali, che sono delle politiche fondamento. E però contro Messer lo imperatore Federigo argomenta tuttoché fosse laico e chierico grande: e dimostra, le ricchezze essere vili. « Così fosse piaciuto a Dio che quello che domandò il Provenzale, fosse stato; che chi non è reda della bontà, per- desse il retaggio dell'avere!» Ed ecco da cinquecent'anni vaticinata la setta che prese nome dal Saint-Simon, ed ebbe, per le abusate dottrine, misera e disprezzata line. Così lar- gamente intendeva, almeno in teoria, il lilosofo nostro le massime ghibelline. Noìjile si stimava egli dunque: e la genealogia propria tesseva làin cielo tra le gioie d^* Santi e le armonie delle sfere. I miei antichi, dice Cacciaguida, e io, nascemmo nel Sesto ultimo a toccarsi dai corridori del palio la festa di San Giovanni, nel Sesto, cioè, di Porta a San Piero. E segno d'antichità, nota il Lami, è 1' avere abitato nel cuore del- l'antica città. Più antichi e più nobili de' Buondeimonti, de' Bardi, degli Albizzi erano gli Allighieri. Ma chi t'ossero i maggiori di Cacciaguida, e donde ili Firenze venissero, ])iù onesto, die' egli ò^ tacere che dire. Altri vuole che Dante