Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/94

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LXXXVI MONU.MENTO A DANTE IN FIRENZE. stinava la loggia dell' Orcagna, ringhiera un tempo delle civili solennità, e degna nicchia alki statua del Ubero cit- tadino. Chi voleva nella piazza di Santa Croce collocata l'ef- fìgie colossale del Poeta, sopra un gran masso, da cui, quasi Ippocrene, spicciasse la fonte. A chi dispiaceva per monu- mento una tomba, quando Firenze non ha le ceneri, indarno chieste, dell'uomo al quale un cardinale minacciava di to- gliere la sepoltura, e un cardinale poi più magnifica la ri- téce. Chi la Poesia al suo sepolcro avrebbe amato non pian- gente, ma lieta: chi il portamento dell'Italia stima compo- sto a troppa maestà: e chi non vorrebbe il Poeta ignudo; e chi non vorrebbe che il gomito gli stesse appoggiato sul- l'aperto volume. Alle quali cose altri potrebbe rispondere, che all' autore del poema sacro, degno luogo di monumento era un tempio; che a Dante un cenotafio in Firenze doveva sorgere quasi indizio del desiderio inesaudito della patria; che la Poesia mezzo prostesa sul monumento, per Dante non piange, ma piange le sventure, retaggio dei disprezzati e perseguitati annunziatori d'austere verità; che l'Italia spira gravità virile e religione imperiosa, perchè tale spi- rava ne' pensieri di lui; che ignudo siede il Poeta, quasi imagine delle anime altere e torti, viventi in tempi di di- scordia e di calunnia; che il gomito gli posa suU' opera c/^e V ha fatto j)er più anni inaerò, per denotare che le avver- sità della vita e la smania di legittime speranze deluse , tanto possono sul cuore de' più sofferenti , da far loro di- menticare ogni idea di conforto, e fino il sentimento della propria grandezza. Insomma mi si mostri lavoro al quale non si possa con un po' d'ingegno e di buon volere apporre censura, o censura da cui non si possa trarre argomento di lode. La passione è ingegnosa quasi come F affetto. Basta talvolta un'idea del meglio perchè paia deforme anche il bello; e la fantasia preoccupata perviene a scoprire molte più bellezze in un'opera, che non concepisse forse l'autore nel proprio intelletto. Nel giorno che la patria , lieta insieme e dolente , cele- brava l'espiazione di un'antichissima mesta ma illustre me- moria, ai canti d'espiazione religiosa era forse conveniente soggiungere inni di civica gioia e pubblico festeggiamento; e una voce poteva innalzarsi, e, con più efficaci parole che io non saprei, dire alla gioventù fiorentina: « Educatore dell'ingegno, cote alle anime forti, è il dolore. Oh se sapes- sero coloro i quali la viltà propria tenta a tormentare la grandezza eh* e' non possono comprendere, se sapessero di quanta gloria è ministra, di Quanti fecondi affetti nutrice la loro incauta vendetta! Oh chi l'avesse detto a quel Baldo d'Aguglione, che il cittadino da lui tante volte con-