Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/211

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   [v. 28-42] c o m m e n t o 201

però si dice ne la Santa Scrittura: Deus charitas est; e sta coll’ale aperte sempre intesa a calare, per tirare a sè l’anime umane che la grazia di Dio ne fa degne. Et esser mi parea: cioè a me Dante, la dove foro Abbandonati i suoi da Ganimede. Qui introduce l’autore una finzione poetica; ciocche Giove rapì, in specie d’aquila mutatosi, Ganimede fìlliuolo del re Troe, unde fu poi la contrada chiamata Troia, quando era ito coi suoi ministri a cacciare ne la selva troiana che si chiamò Ida, e per la sua bellessa lo portò in cielò e fecelo suo donzello e servitore di coppa, e li suoi ministri quando lo viddeno portare in cielo rimasero tutti isbigottiti. La verità di questa finzione fu che Giove re di Creta, avendo guerra col re Troe di Troia, venne a battallia con lui, e nc la selva troiana chiamata Ida lo vinse, avendo lo stendale reale de l’aquila, e prese Ganimede fìlliuolo del detto re, e tennelo por suo donzello. Unde li Poeti, per magnificare Giove ne fanno la preditta finzione, dicendo che Giove àe posto Ganimede in quel segno che si chiama Aquario, e però diceno che è fatto servitore di coppa di Giove; e però dice l’autore che li parca pure essere nc la silva troiana. Quando fu ratto; cioè Ganimede, al sommo consistoro: consistoro si dice lo luogo dove si sta insieme, e però lo luogo dove sta lo papa coi cardinali ad audienzia, o a consillio si chiama consistoro; e così pone qui l’autore per lo cielo dove sta Iddio coi suoi santi, sicchè dice: Quando fu ratto Ganimede al cielo da Giove in specie d’aquila: Fra me; dice Dante che dentro da sè, pensava; cioè io Dante nel sogno: Forse questa; cioè aquila, fiede 1: l’uccello si dice ferire, perchè ingremisce la preda colli artilli dei piedi, Pur qui; cioè in questa silva, per uso 2, cioè per consuetudine, e forse d’altro loco; cioè che di questa selva, Disdegna di portarne suso in piede; cioè quest’aquila, pensava io Dante, non pillia prede se non di questo luogo. Per questa finzione intende l’autore di dimostrare che sua opinione fusse che la carità rapisca più tosto de le selve e delli eremi li santi omini a Dio, che delli altri luoghi: imperò che si mantegnano più in stato d’innocenzia nei luoghi solitari, che altrove; sicché possono più perfettamente amore Iddio.

C. IX — v. 28-42. In questi cinque ternari l’autore finge come compiè la sua visione e come si svelliò, dicendo: Poi; ch’io Dante pensai come detto è di sopra, mi parea; a me Dante, che più rotata: cioè l’aquila ditta di sopra, un poco; più che prima, Terribil come folgor descendesse; cioè sopra di me Dante; e questo fìnge l’autore, per accordarsi co la Santa Scrittura, quando dice che lo Spirito

  1. Fiede; fere, ferisce, da fedire, mutato in d l’r, come in contradio per contrario. E.
  2. C. M. per uso; cioè per usansa, Disdegna