Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/532

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   522 p u r g a t o r i o   x x i i. [v. 10-24]

chè allegoricamente s’intende che Dante salliva co la mente: imperò che Dante finge secondo la lettera esser andato nel purgatorio, acciò che s’intenda lo suo andamento esser stato mentale.

C. XXII — v. 10-24. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come Virgilio entra a parlare con Stazio e dimandalo come si lassò ingannare a l’avarizia, considerato ch’elli fusse savio, dicendo prima quanto è l’affezione e benivolenzia ch’elli li porta, dicendo così: Allora montava io di rieto a Virgilio e Stazio, Quando Virgilio; parlando verso Stazio, cominciò; cioè a dire questa sentenzia; cioè Amore Acceso da virtù sempre altri accese; e bene dice acceso da virtù: imperò che carnale non accende sempre: imperò che non accende se non li carnali; ma l’amore virtuoso sempre accende li virtuosi, Pur che la fiamma sua paresse fore; cioè purchè sappia l’amato esser amato, incontenente ama. Et è qui da notare che questa sentenzia dirissa quella e rettifica1 che fu ditta da l’autore nel canto v de la prima cantica; cioè Amor, che a null’amato amar perdona: imperò che si dè intendere de l’amore mosso da virtù, e non da carnalità: imperò che la sentenzia è vera ne l’amore virtuoso, e di quello intendendo; ma intendendo del carnale non è sempre vera: imperò che, benchè si verifichi in alquanti o ne la maggior parte, non si verifica in tutti: imperò che una onesta donna non amerà colui che disonestamente amerà lei. E se altri impugnasse quive l’autore; cioè che non disse vero, dèsi rispondere che la sentenzia sua è vera: imperò ch’elli parla dell’amore onesto che propriamente si chiama amore, che ’l disonesto non si chiama propiamente amore; ma concupiscenzia. E se dicessi: Del disonesto intese quive l’autore, come appare per la materia, dèsi rispondere ch’elli parla pure de lo onesto: imperò che lo amore onestamente incominciò tra Paulo e Franciesca2: imperò che l’uno amava la bellessa corporale e spirituale dell’altro, et amavansi come cugnati; ma poi si tramutò de onesto in disonesto, e non fu più amore; ma concupiscenzia. E cusì è vera quive, e qui la sentenzia dell’autore: imperò che l’autore dichiara quive come da l’onesto amore si venne al disonesto, quando disse: Noi leggiavamo un giorno, per diletto ec., e poi: Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse.— Unde; cioè per la qual cosa; cioè imperò che la virtù de l’amore fa questa operazione; che fa amare chi è amato, dall’ora che tra noi discese Nel limbo dello inferno Giuvenale; questo Giuvenale fu poeta satiro, e fu al tempo di Stazio in Roma; unde disse ne la sua satira: Curritur ad vocem iucundam, et carmen amicœ Thebaidos, e fu d’Aquino e fu infidele, e però dice Virgilio: Del tempo in qua che Giuvenale discese sì, come infidele e come poeta

  1. C. M. ratifica che fu data da l’autore
  2. C. M. Francesca: