Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/547

Da Wikisource.
   [v. 115-129] c o m m e n t o 537

le destre spalle; cioè le spalle dal lato ritto, volger ci convegna; cioè a noi tre, Girando ’l monte, come far solemo; cioè per li altri gironi, andando inverso man destra. Cosi l’usanza; cioè la consuetudine che avavamo tenuta per li altri gironi, fu lì; cioè in quil luogo, nostra insegna; cioè nostra dimostrazione de la via: come la insegna dimostra a l’esercito la via che dè seguitare; cusì l’usansa insegnò a noi in quil sesto girone, E prendemmo la via; cioè Virgilio et io Dante, con men sospetto; cioè con meno dubbio che non aremmo fatto, Per l’assentir; cioè per lo consentire, di quell’anima degna; cioè di Stazio. Et è qui da notare che infine a qui àe l’autore dimostrato come l’omo si purga co la penitenzia dai peccati spirituali che sono cinque; cioè superbia, invidia, accidia, ira et avarizia; et a questo è bastata la ragione, la quale consillia come si denno purgare questi vizi nell’anima. Ora perchè àe a dimostrare come si purgano li peccati corporali; cioè gola e lussuria, però ci à adiunto Stazio, che significa lo intelletto passibile che opera sopra quello che li è ministrato et apparecchiato dai sentimenti di fuora: imperò che la ragione consillia come si dè purgare la volontà respettiva, chiamata di sopra talento, e lo intelletto li sentimenti; e però finge che ora lo guidi Virgilio e Stazio; Virgilio che è la ragione, e Stazio che è lo intelletto, sicchè si purghi la ditta volontà e la sensualità. Elle; cioè Virgilio e Stazio, givan dinanzi; cioè a me Dante: imperò che lo intelletto ne le cose spirituali dè andare co la ragione che liele mostra, e la sensualità dè seguitare; ma ne le cose sensibili la cognizione sensitiva va inanti, la qual’è ministra de lo intelletto e muovelo ad opera; e però fingerà l’autore che ingiummai Stazio vegna di pari a lui o di rieto, et io soletto; cioè io Dante andava solo, perchè non era materia che s’appartenesse al sentimento; cioè discernere la via da purgarsi da la gola; anco s’appertenea a la ragione et a lo intelletto, Dirieto; perchè seguitava loro, et ascoltava; cioè io Dante, i lor sermoni; cioè li loro iudìci, che quanto al vero non parlava la ragione, nè lo intelletto; ma quanto a la lettere dè fingere che parlasseno, Ch’a poetar; cioè che a fingere, come richiedea l’arte da la poesi, donavanmi; cioè a me Dante, cioè a la mia sensualità, intelletto; cioè intendimento, per lo quale procedesse più oltra a scrivere.

C. XXII — v. 130-141. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come, andando su per lo sesto girone, pervennono ad uno arboro1 lo quale era in mezzo del girone, lo quale per una voce fu

  1. Arboro. Dal latino arbor i nostri antichi ricavarono arbore, e per uniformità di cadenza arbaro, arboro, come da marmor, marmore e marmoro e cotali. E. — C. M. pervenneno ad un arboro