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Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/76

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   66 p u r g a t o r i o   iii. [v. 79-93]

no finiti ne la grazia di Dio; e bene erano eletti a salute eterna, Virgilio incominciò; parlando a quelle anime, per quella pace; cioè eterna, Ch’io credo; cioè io Virgilio, che per voi tutti s’aspetti: imperò che quelli del purgatorio tutti aspettano la gloria di paradiso, Ditene, dove la montagna giace; sicché si possa montare; e però dice: Sì che possibil sia l’andare in suso; inverso la sua altessa: Chè perder tempo a chi più sa più spiace; chi più conosce, più si duole del tempo che si perde: imperò che vede che mai non ritorna e mai non si riquista. E ben finge l’autore che Virgilio, che significa la ragione, sia quello che dimandi u’sia la montata agevile: imperò che mettersi abbandonatamente a le cose faticose de li atti de la penitenzia è mattia. E qui finisce la prima lezione del canto terzio.

Come le pecorelle escon del chiuso ec. Questa è la seconda lezione del canto terzio, ne la quale finge l’autore che ricognoscesse alcuna di quelle anime e parlamentasse con lei; e dividesi questa lezione in 6 parti: imperò che prima, manifestando come quella gente si mosse inverso di loro de la quale fu detto di sopra, fa una similitudine; ne la seconda finge come Virgilio, accorgendosi che l’anime si meravilliavano di Dante, le dichiara che Dante è col corpo, e dimanda de la via, quive: Senza vostra dimanda ec. ne la tersa finge che un’anima di quelle si li dà a cognoscere, quive: Et un di lor incominciò ec.; ne la quarta dichiara quell’anima ancora Dante come ella venne a salute: con ciò sia cosa che fusse scomunicata, quive: Poscia ch’io ebbi ec.; ne la quinta quell’anima manifesta ancora a Dante che importanzia fa la scomunicazione ai passati, quive: Per lor maledizion sì non si perde ec.; ne la sesta conchiude, pregando Dante che lo notifichi ai suoi, sicché l’aiutino co l’orazioni e co le elimosine, quive: Vedi oggimai ec. Divisa la lezione, ora è da vedere lo testo co la sposizione litterale et allegorica.

C. III— v. 79-93. In questi cinque ternari finge l’autore, che poi che Virgilio ebbe fatto la sua dimanda a quelle anime, elle si partitteno del luogo dove s’erano rinchiuse e venneno verso loro; e fa una similitudine, dicendo: Come le pecorelle escon del chiuso; cioè quive dove sono state la notte per salvamento da’ lupi: bene assimillia quelle anime a le pecorelle, perchè l’anima separata dal corpo è simplice come le pecore, Ad una, a du’, a tre; insieme, e l’altre stanno Timidette atterrando; cioè tenendo giuso verso la terra, l’occhio e il muso; loro, E ciò che fa la prima; cioè pecora, e l’altre; cioè pecore, fanno, Addossandosi a lei; cioè gittandosili addosso, s’ella s’arresta; cioè che non vada più oltra, Semplici e quete; cioè con simplicità si li gittano addosso e sensa fare romore, e lo perchè; faccino così, non sanno; esse pecore; ; cioè così come le pecorelle, viddi io; Dante, muover, a venir, la testa; di quella congregazione