pati indipendentemente, che, per I’ acuità acquisita nella
libera espansione, ben sovente contrastano e si contraddicono. ’
I critici ed i grammatici, lavorando in un tempo in
cui questo processo era già compiuto, e su un materiale
(la commedia nuova o di carattere) in cui si scorgeva il
punto d’ arrivo solamente, e non più la via percorsa, videro nettamente e disegnarono i rami, ma non s’accorsero del tronco, sparito sotto il fittissimo frondeggiamento.
La comprensione di questo processo ci fornisce il
mezzo principale, mi sembra, d’intendere la singolare
complicatissima tempra delle persone di Aristofane.
A nessun lettore può sfuggire la stretta somiglianza
che intercede fra i personaggi principali, i protagonisti,
delle commedie di Aristofane e che dipende dal costante ricorrere di certe condizioni e caratteri comuni.
Quasi tutti questi personaggi sono campagnuoli. Diceopoli, relegato in Atene dall’ invasione laconica, non
fa che rimpiangere i campi; e, stretta appena la tregua
col nemico, vi torna a celebrar le Dionisie agresti
(Acam., 220). Popolo, il mangiafave (Cav., 46), recuperate le tregue sequestrate da Cleone, s’affretta a tornare in
campagna (1494). Lesina adduce, a scusa dell’aver picchiato troppo forte alla porta, le proprie abitudini campagnuole (Nuvole, 156). Filocleone ricorda all’ingrato schiavo
una certa operazione a cui lo sottopose quando lo trovò nel
podere a rubar l’uva (Calabroni, 487); ora, per altro,
la mania tribunalizia sembra l’abbia legato alla città.
Trigeo, il vignaiuolo, appena libera Eirene, torna alle
sue viti (Pace, 74!). Sperabene possiede un poderetto