in questo tipo scenico, è un citrullo che si lascia menar pel naso dal Paflagone. Filocleone, quando il figliuolo
gl’ insegna le maniere della buona società, noli intende
cose che entrerebbero a un piòlo; e non parliamo neppure di Sperabene, campione di stupidità e citrullaggine.
Quasi tutti nutrono una straordinaria passione per le
burle, spesso d’ultima goffaggine, e una tendenza a scorbacchiare grossolanamente la gente; e talvolta dimostrano poi una singolare furbizia, che fa vivo contrasto
con l’abituale stupidità. Diceopoli piglia in giro come
nulla il terribile Lamaco. Popolo sfrutta i due piaggiatori,
e quando il Coro gli rimprovera la sua dabbenaggine, si
sbottona con una dichiarazion di fede veramente inaspettata. Il baggiano Lesina è tutto prontezza ed acume
quando si tratta di sbarazzarsi dei creditori e di rimbeccare i discepoli di Socrate, esterrefatti per l’incendio del
Pensatoio. Filocleone ha trovate inesauribili per canzonar le persone che ha danneggiate e che gli si addensano alle calcagna esigendo risarcimenti. Mnesiloco, che
intendeva addirittura di dovere zittir la porta, non è poi
menomamente imbarazzato a bisticciarsi a tu per tu col
sottile Agatone.
Anche notevole è la loro grande salacia, prorompente alla menoma occasione. Basta ricordare le uscite
finali di Diceopoli e Filocleone, la città vagheggiata da
Gabbacompagno (162), I’ entusiasmo di Trigeo e di Sperabene dinanzi a Pomona e alla rosignoletta (Pace, 743;
Ucc., 734); e gli esempi si potrebbero moltiplicare.
La gola è pure loro peccato prediletto, e come coronamento di qualsiasi impresa non sanno concepire se non