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I CAVALIERI 177


e ardisce dire il vero; e mostri affronta, prode,
quali il Tifone e il Turbine! E quanto al fatto eh ode
molti di voi stupirsi, dimandargli com’è
ch’ei non abbia pria d’ora chiesto un Coro per sé,
vuol che noi vi si spieghi. Non già per esser -tondo,
tentennava; ma ei crede che non sia cosa al mondo
più diffidi dell’arte comica: adoratori
ne ha tanti; ma a ben pochi largisce i suoi favori!
E poi, mutate ogni anno, voi, lo sa da gran pezza;
e abbandonaste, come pervennero a vecchiezza,
i poeti d’un tempo. Sa di Magnete, come
lo malmenaste, quando canute ebbe le chiome!
Pur, quanto spesso aveva sconfitti i suoi rivali,
quanto spesso mutata voce! Fu rana, ebbe ali,
fe’ tintinnare cétere, Lido, moscone fu!
Tutto inutile! Quando perde’la gioventù,
e fu a secco di frizzi, te lo misero in bando.
Ed a Cratino pure, poscia venia pensando.
Un di, come torrente, gonfio scorrea di lode
per le vaste pianure, scalzando dalle prode
e travolgendo i platani, le querce, ed i rivali.
E nei simposi: « Sbruffo di fico ha gli stivali »
solo s’udiva, o «Artefici dall’inno ben commesso!»:
tanto era in fior! Ma mica lo compatite adesso,
che sbalestra, che i bischeri allentati si sono,
che le sue corde calano, né più reggono il tòno!
Vecchio al pari di Conna girar voi lo vedete,
coronato di foglie secche, e morir di sete,
mentre pe’ suoi trionfi d’un tempo, dovria.... bere,
senza più scriver ciance, nel Pritanèo, sedere
Aristofane - Commedie, I - 12.