Pagina:Commedie di Aristofane (Romagnoli) I.djvu/347

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236 ARISTOFANE


Che parlar non abbia inteso d’Arignòto non ve alcuno,
che d’Arlone il canto sappia, che dal bianco scerna il bruno.
Ma da lui va pfcr costume suo fratello ben distinto:
Arifràde: è un tomo, questo, che birbone, e n’è convinto!
E non è solo briccone e modello di briccone:
non m’avrebbe fatto caso! Gli è che ha fatto un’ invenzione!
E sarebbe che in nefande voluttà la lingua inquina,
pei postriboli, suggendo quella sudicia pruina;
e intrugliando nella potta, ei così la barba insozza,
roba fa da Polimnesto, con Oiònico s’accozza!
D’un tal uomo, per concludere, chi non sente troppo schifo,
nel bicchiere dov’ io bevo, mai sarà che accosti il grifo!
Anlistrofe C°R°
Sovente immerso nelle
meditazioni insonni, io ricercai
come succeda mai
che cos! possa Cleonimo ingozzare a crepapelle!
Dicon dunque che dei ricchi — le sostanze egli rosicchi;
né c’è modo di farlo dalla dispensa uscire.
Invano quelli badano
a scongiurarlo: « Ti preghiamo, o sire,
esci, e ritegno
abbi a roder, di grazia, almeno il legno I »

corifeo

Anteptrrema
In convegno s’adunarono, sento dir per la città,
le triremi; ed una disse che provetta era in età: