Pagina:Commedie di Aristofane (Romagnoli) III.djvu/239

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236 ARISTOFANE

fama di persone costumate. Tutto il brano, del testo, è pieno di doppi sensi. Pag. 97, v.,9. - Con analoga inaspettata comica risoluzione si concludono le.strofctte parallele a questa, (p. 107). E il motivo torna nelle Donne a Parlamento, v. 1256-60, 1288-91. Pag. 99, v, 16. - E non vi mutili, come un’erma qualunque. Vedi introduzione agli Uccelli. Pag. 102, v. 17. - Al tempo delle guerre messeniche. Cfr. Tucidide. I. 101, 103. Pag. 102, v. 21. - Poseidone. Pag. 103, v. 10. - I fatti, abbastanza noti, a cui si allude, son narrati in Erodoto, V. 63. e nello Costituzione il’A tene d’Aristotele. Pag. 103, v. 12. - Cioè da schiavo dei tiranni lo resero libero. Pag. 107. v. 5. Probabilmente si allude a dilapidazioni abituali o speciali del tesoro pubblico. Pag. 110, v. 18. - Cioè, pare. se. invece d’una canzone di pace, ne intonasse una di guerra. Pag. 113, v. II. - Quelle rimaste in ostaggio: cfr. pag. 28, v. 7. NOTE A « LE DONNE ALLA FESTA DI DEMETRA » Pag. 131. v. I. - Con questo versetto, che Mnesiloco avrà forse canticchiato, solevano gli Ateniesi, di fra i rigori del verno, invocare la primavera. Pag. 131, v. 8. - Mnesiloco sì fissa su le prime parole soltanto di Euripide, e, come farà poi sempre, fraintende. Pag. 133, v. 6. - Con questa tirata, Aristofane deride la mania che aveva l’aborrito tragediografo di filosofeggiare su le scene. Un personaggio della Melanippitle savia, tragedia d’Euripide oggi perduta, diceva (frm. 484, Nauck): o E cielo e terra una sembianza sola — avean; ma poi che l’un dall’altra scissi — furono, tutto generato, e a luce — dièr: piante, augelli e quanti mostri il mare — nutre, e la stirpe dei mortali ».