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14 | Commentario Rapisardiano |
rola fascinosa risuona fervidamente ammonitrice di carità, di libertà, di giustizia.
Egli, più che maestro, ben possiamo affermare, fu un condottiero di giovani falangi, pur vivendo fuori dell’umano commercio, nella regione luminosa dei sogni. L’animo tutto compreso di un nobilissimo ideale, si beò nella gloria delle forze universe; seppe le grandi lotte, non cessando però mai di combattere le battaglie più sante dello spirito umano, mentre che alle schermaglie della vita cotidiana si trovò sempre inadatto. Si credette un vinto, e superò i suoi tempi con la fermezza incrollabile della sua fede, con la purezza adamantina del suo carattere. E alla guisa che gli antichi profeti, con la forza del sincero entusiasmo che li animava, coraggiosamente elevandosi a giudici dei tiranni, vaticinavano prossima la fine delle loro iniquità e l’avvento del regno di Dio; con pari ardimento egli liberamente denudò e flagellò i vizi dell’età sua, celebrando al tempo stesso in canti immortali la redenzione del mondo nel trionfo dell’amore.
Ma per aver piena conoscenza del temperamento eccezionale di Mario Rapisardi, conviene seguirlo passo passo nella sua vita e, tralasciando di accennare ai piccoli casi della sua fanciullezza, cioè alle sue pratiche chiesastiche, alle letture proibite che dovettero influire sicuramente non poco nello sviluppo e nell’orientamento della sua psiche, cominciare ad interessarci in più particolar modo della sua prima giovinezza, quando, sebbene affetto da un male terribile, egli non si dà per vinto e continua a studiare e a dettare i suoi canti appassionati. Son del ’62 i versi “alla Poesia„ in cui detesta i “gelidi sofi a cui la vita è morte„.
Ebbe tanto ferma la volontà di vivere! Ricorda il “volli„ di Alfieri. Fortissimamente volle, e vinse.
Sappiamo che alla pubblicazione della “Palingenesi„. V. Hugo, spontaneamente [1] lo battezzò un precursore. La sua missione era segnata. E allora si diede più ala-