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Pagina:Commentario rapisardiano.djvu/78

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56 Commentario Rapisardiano


Ma in un punto del vostro genialissimo poema mi pare, o commendatore poeta, che si leggono queste parole, scritte, se non sbaglio, dal vostro consocio:

Riconoscendo forse i scerpelloni
esclamereste: Come siam buffoni!

Mo’ ricordo. Quando voi vi compiaceste a stampare nel Fanfulla della Domenica del 20 gennaio ’84 quella certa tiritera rimata che voi sapete e della quale ora accennate solo:

e le cronache e i pasticci
che stampò Corrado Ricci,

metteste in coda quest’altra non meno solenne verità:

Un poema è un benefizio
quando giova a quel servizio.

Impagabile davvero, o Commendatore, voi col vostro poema!

E toh, pochi giorni dopo, il 16 febbraio, nella Cronaca Bizantina lo Scarfoglio, tutto compreso di profondissima pietà per la sorte del povero Rapisardi, che aveva già pubblicato la sua trilogia, scriveva untuosamente: “Ma è bello lasciarlo così (dopo 4 anni!) disteso in terra, insultando un caduto? Agli altri parrà bello: a me di cui il personale risentimento non può certo esser favorevole al Rapisardi, par vile.„

Vedi caso! Mario Rapisardi, che pareva morto, in realtà era più che mai vivo; e il suo Giobbe l'aveva pubblicato giusto agli ultimi di dicembre 1883 e nel gennaio dello stesso anno aveva lanciato i terribili canti di Giustizia! O come? E non l’avevano morto e seppellito, e non avevano ballato il can-can sulla sua fossa? E la “ditta bolognese„ non era riuscita per il caso straordinario a far ridere a crepapelle tutto il popolo di Italia? Tutto il popolo d’Italia veramente no, che volete? per tantissime ragioni e anche un po’ se dobbiamo prestar