Pagina:Copernico - Poemetto Astronomico.djvu/48

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( XLVII. )


L’occasione vien, mancan di fede,
Rompono i patti, usano l’armi, e lice,
1020Pur che si regni, violar le Leggi:
Han però la giustizia, e il dritto in bocca,
Quanto l’avean Solon, Minosse, e Numa.
E' fallacia, è rumor vano e plebèo,
Che contra il Padre guerreggiasse Giove,
1025E che gli abbia usurpato il Regno, e il Cielo.
E’ favola, che Giove in quel Pianeta,
Abbia l’eccelso trono, e ch’ivi sieda
Con l’Aquila, che ad esso il fulmin porta,
E con la Capra, che gli diede il latte;
1030E che dal Cielo, ch’ei modera, e regge,
Spanda virtù, che gli Uomini sublima
Della Turba volgar lunge dal fango
Al Regal manto, ed al diadema, e al soglio.
Ad incendj, a diluvj è ognor soggetto
1035Quel mondo, e l’acque in tanta copia vanno
Ad innondar valli, campagne, e monti,
Che se non fosser animal Anfibj
Quei Popol, periria tra i flutti immersa
La loro schiatta, e la memoria, e il nome.
1040E se per don di Dio qualche famiglia
Dalla Tempesta universal campasse,


Se