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286 cosmorama pittorico.
ARCA DI S. AGOSTINO.
Nella chiesa cattedrale di Pavia sorge ora il monumento più magnifico della scoltura italiana del secolo XIV e contende coi più grandiosi delle altre età: è l’Arca di S. Agostino. Fu ordinata dai frati Agostiniani, ed elevata nel 1360 in una sagrestia della Basilica di S. Pietro in Ciel d’oro, in onore del vescovo d’Ipona, le sante ossa del quale vennero traslocate di Sardegna in quel tempio nel 722 per carità e pio zelo del Longobardo Re Luitprando: pensavano essi levarle dalla Confessione ove giacevano in un muro di mattoni, per collocarle in questo monumento, se non che quel pensiero fu impedito da alcuni frati più vecchi che si opposero, e l’arca restò soltanto siccome un Cenotafio.

Questo monumento del quale qui si offre disegnata la parte anteriore è di marmo bianco, in forma d’un quadrilungo a quattro piani, formati da cornici, statue, ornamenti diversi: è lungo metri 8,07:, largo 1,68, alto 2,95.

Il primo piano posa sopra una base ornata a semplici intarsi in nero. Innanzi a ciascuno de’ quattro pilastrini che dividono i tre scompartimenti, è appostata una figura di tutto rilievo: ogni scompartimento poi è diviso in due nicchie formate da due snelle colonnette laterali a spirale, ed una in mezzo, sulle quali volge un arco: in ciascuna nicchia vi è di basso rilievo un Apostolo che reca scritto in caratteri gotici il proprio nome e un articolo del Credo. Le statue rappresentano le virtù teologali, cardinali, e la religione. Nel presente disegno si vedono le prime, cioè la Fede con un calice e una croce rovesciata, la Speranza che guarda al Cielo con una palma in mano, la Carità che ha nella destra un cuore, e colla sinistra regge due fanciulli alla poppa: l’ultima coi piedi sprofondati nello scoglio e la Religione con in mano un papiro ed una palma.

Sopra questa grandiosa base sorge la parte più ricca del monumento, destinata a feretro per la statua del santo. Quest’ordine è soffolto da otto colonne quadrate; quattro per lato, e su queste gira l’architrave diviso in tre archi per ciascun fianco, un solo largo ne’ due lati più stretti, e formano una specie di tempietto elegantissimo.

In mezzo a questo giace sur un letto coperto da un panneggiamento che ricade all’intorno, il corpo del santo Dottore tutto grande di naturale, vestito magnificamente in paramenti pontificali: sostiene colle mani un libro aperto sul petto, e rialza alquanto il capo e il fisa come chi legge. Circondano questo letto sei giovani arredati da diaconi, tre per lato:, raccolti, devoti, con ambe le mani sollevano la sindone che vela il feretro. Fanno inoltre corteggio ed ossequio al padre quattro Santi. Il resto di questo tempietto è elegantissimo: ogni pilastro che è fregiato di ornati tutti variati e diversi, ha in giro ai lati quattro statue di tutto rilievo, e tutte rappresentano o frati, o Santi o allegorie: sopra i capitelli posano dodici statue sedenti in giro, e quelle che sono nel presente disegno offrono quattro martiri artisti. La volta è elegantissima, tutta a fregi ed a bassi rilievi.

Si leva sopra questo feretro il terzo ordine diviso al solito dai pilastri, innanzi a ciascuno dei quali è una statua, e ne’ campi che restano in mezzo tre bassi rilievi, ne’ due lati minori due. Le dodici statue che sono in giro rappresentano o vescovi o frati agostiniani diversamente arredati, siccome voleano i diversi
ordini ai quali apparteneano. Ne’ bassi rilievi sono raffigurate alcune storie di varia composizione che si riferiscono alla vita del Patriarca Africano. Fra quelli che si vedono nella presente tavola, uno è S. Ambrogio che predica a’ credenti e a S. Agostino che l’ascolta, nel secondo il vescovo d’Ipona che conferisce con S. Sempliciano da un lato, e dall’altro ancora S. Agostino che assiso legge un libro, mentre un Angiolo gli porta dal Cielo l’opera di S. Paolo: nel terzo è il momento in cui il vescovo milanese veste al nuovo adepto affricano l’abito di Catecumeno.

Gira siccome corona del monumento l’ultimo ordine, di gusto germanico gotico moderno, e di molta eleganza. Si alternano ai due fianchi tre piramidi triangolari e quattro statue; ai lati più stretti, due piramidi con in mezzo una guglietta: ogni piramide orlata di una cresta a foglie tripartite, tiene nel vano a basso rilievo una storia spettante alla vita di sant’Agostino, ed in ispecie alle sue azioni e miracoli. In questo disegno si vedono in uno S. Agostino che libera del carcere un prigioniero che se gli inginocchia innanzi in atto di gratitudine. La carcere alta merlata è tutta traforata per entro, sicchè si vedono fino gli ingraticolati delle ferriate: seguita nel secondo il ritorno dello stesso prigioniero alla propria casa che è sur un colle; sull’indietro vedesi una chiesa. Nel terzo è la liberazione di un’indemoniata: questa sciagurata sta inginocchiata a terra innanzi al divo Presule che la benedice, e vedesi lo spirito maledetto uscirle di bocca. Ricopre finalmente il vacuo di mezzo, e forma la volta un ombracolo semplicissimo, sul quale certo doveva sorgere un ultimo finimento a cupola come ne comprovano l’esempio di tutti gli altri monumenti, e specialmente quelli della stessa scuola, come sono l’arca di S. Eustorgio e quella di Azzone Visconti a Milano, quella di Cansignorio a Verona e varie contemporanee delle altre parti d’Italia; non fu terminata.

Perchè poi riesca meglio di comprendere quanto sia la grandiosità di quest’Arca e quale la copia del lavoro, richiameremo che vi sono cinquanta bassirilievi, novantacinque statue, senza computare gli animali, ed in tutto quattrocento venti teste le quali hanno tutti gli occhi rimessi di metallo, meno quelle de’ bassi rilievi dell’ultimo piano.

Questo monumento segna un’epoca nella storia della scultura italiana, ed anzi appunto quella seconda dal principio del suo ristauramento. Infatti poichè la statuaria s’era tolta alla miseria a cui era scaduta nel medio evo, solo dopo il 1250 incominciava a creare opere le quali risentissero di quel bello che è solo e continuato retaggio della patria nostra, mercè gli studj di Nicola e Giovanni da Pisa, di Arnolfo di Lapo, del Cosmate. A questi succedettero con maggior lena Margaritone, Agostino e Agnolo Sanesi, finchè verso la metà del secolo XIV Andrea Pisano, Nino suo figlio, l’Orgagna, il Lanfrani, Pietro Paolo e Iacobello Veneziani, i Rossellini del Proconsolo, il Balduccio, Bonino da Campione ed altri migliorarono sì l’arte che la recarono ad una second’epoca di perfezionamento. Allora le statue alle quali prima non si aveva osato dare alcuna movenza, alcuna espressione ragionevole, presero migliori forme e attitudini, un andare più bello nelle pieghe dei panui, qualche buon’aria di teste; fu condotto talora il marmo con molto studio, sebbene non sempre con buon disegno. Lo stesso avvenne de’ mausolei, poichè se prima parvero ragguardevoli quelli del Cardinal Consalvo e del Savelli