Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume II (1857).djvu/427

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capitolo decimo 407

creazione, giunto all’apogeo dell’esperienza umana e della conoscenza divina del Verbo, cercava di diventare fanciullo colla schiettezza della fede, e col candore delle speranze, alfine di poter entrare nel regno de’ cieli.

Quando ci facciamo a considerare l’insieme di questa vita di viaggiatore, di apostolo e di martire, quando vediamo questa potente intelligenza compenetrata dalla presenza di Dio al segno di soffrir sempre senza mormorare, cotanto essa è sicurata dall’immortale retribuzione promessa agli atti del nostro terreno passaggio, noi ci sentiamo tirati a credere docilmente e ad amare senza riserva. Commiseriamo le grandezze umane, e ci togliamo al caduco per aspirare all’eterno. A solo considerare una tale vita, ci solleviamo sopra le imperfezioni e le virtù terrestri; e andiamo consci di toccare alle regioni della santità. È impossibile ad un’anima cattolica di esaminar la vita di Colombo senza sentirsi intenerire e fortificare: cosifiatta intima emozione è forse un importante corollario della santità di questo gran servo di Dio.

Lo studio di questa biografia, profittevole a tutti, sarà, spezialmente per le anime cristiane, un argomento di edificazione. Leggendo il riassunto troppo succinto che ha scritto della vita di Colombo, trent’anni dopo di lui, il suo secondogenito don Fernando, comprendiamo esser questi tocco da una emozion religiosa, a motivo di ciò che rinviene nelle annotazioni di suo padre, e che per eccessiva modestia sventuratamente tace: egli scrive quel racconto con un sentimento di profonda pietà, e lo termina con una elevazione verso il Signore, ponendo’ad unica conclusione del suo libro, queste due parole che ne contengono tutto il significato: Laus Deo! Lode a Dio!