Pagina:Cristoforo Colombo- storia della sua vita e dei suoi viaggi - Volume I (1857).djvu/163

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capitolo quinto 155

ghese che abbia saputo indovinare il suo genio, aveva fatto accortamente ripigliare i negoziati con lui. Avendo Colombo nella sua risposta espresso, per dar ragione del suo rifiuto, il timore, che, ove fosse in potere del monarca, i consiglieri potrebbero pigliar qualche pretesto per attentare alla sua libertà, il re gli mandò un dispaccio, in data 20 marzo, contenente un salvacondotto. La soprascritta della lettera era questa: «a A Cristoforo Colombo, nostro amico particolare, a Siviglia.» Ma Colombo, non ostante le sue strettezze, la sua impazienza e il correre degli anni, rimase fermo nel suo rifiuto.

I Sovrani avevano abbandonato Saragozza nella primavera per tentare un assalto improvviso sul territorio de’ Mori. Correndo la state, chiamarono Colombo a Corte, come si prova dall’ordine del 16 giugno 1488 di pagargli tre mila maravedis: fermarono il loro quartiere d’inverno a Valladolid, donde partirono nel febbraio per la città di Medina del Campo, ove volevano ricevere l’ambasceria che mandava loro il re Enrico VII, desideroso di stringere alleanza con loro: sul cominciar di maggio, andarono a Cordova, ove avvisarono che il progetto di Colombo avesse ad essere alla fine seriamente esaminato.

Un ordine del 12 maggio 1489 in data di Cordova, incarico il Municipio di Siviglia di allestire un alloggio gratuito per Cristoforo Colombo, che il servizio dei Re chiamava a Corte.

Sopraggiunse un nuovo impedimento.

Era stato deciso di assediar Baza. Bisognava, senza perdere un giorno della buona stagione, conquistare questa piazza, una delle più forti che possedesser i Mori; onde il progetto di Colombo fu lasciato di bel nuovo in sospeso. La rassegnazione del Valentuomo pareggiava la persistenza quasi fatale delle cause che ritardavano continuamente la sua impresa. Non si vede, che, in mezzo a tali contrarietà, gli sia mai sfuggita una querela, o ’l minimo atto d’impazienza.


§ III.


L’assedio di Baza non era una semplice combinazione strategica, sibbene la penultima scena del dramma della Crociata.