Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/11

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al lettore 5


Nulla dirò in sua lode: il solo nome di colui che ne è l’autore, o almeno il personaggio principale, basta a commendarlo. Parlerò solo di ciò che vi si è aggiunto.

Oltre le molte citazioni e quasi direi concordanzie cogli scrittori meno antichi, delle quali giá ti ho fatta menzione, mio avo vi aggiunse talune dilucidazioni ai luoghi ne’ quali il testo pareva oscuro e qualche supplemento ove vi era qualche lacuna. Tutto ciò che vien da mio avo si troverá segnato con un asterisco.

In quanto a me, il primo dubbio che nacque nella mia mente fu sull’epoca del viaggio che formava il soggetto del manoscritto. Dopo molte indagini, ho creduto poterla fissare sotto il consolato di Appio Claudio e di Lucio Camillo. Troppo chiara è la testimonianza di Cicerone, il quale parla di ciò come di cosa certa, narrata a lui da Catone ed a Catone da Nearco tarantino, discendente di quello stesso Nearco che avea conosciuto Platone in Taranto e frequenti ragionamenti avea avuti con lui1. Il consolato di Claudio e di Camillo cade nell’anno di Roma 406. Il trovarsi nell’opera molte volte nominato un Nearco, ed appunto in quel ragionamento di cui parla Cicerone, mi ha indotto a seguire senza altro esame l’epoca segnata da lui.

Ma chi è mai quel Cleobolo che tanta parte ha in questo libro? Molte indagini ho fatte per saperne piú di quello che il mio testo ne diceva. Ma niun altro scrittore ne parla, e se non si fosse ritrovato questo manoscritto, forse chi sa se si saprebbe la sua esistenza? Il carattere di questo Cleobolo riluce bene dal l’opera. Ma la sua condizione? i suoi genitori? Solo sappiamo che era ateniese, giovane di etá, ben nato, bene educato. Io pensava aggiungere all’opera un’appendice, in cui volea ragionare di tutt’i Cleoboli de’ quali fa menzione la storia; riportar tutte le iscrizioni nelle quali vi fosse nominato un Cleobolo; dar l’etimologia del suo nome, la quale è nel tempo istesso fenicia, ebrea, caldea, punica ed etiopica; ed indicare finalmente l’uso che di tal nome si faceva in Atene. Ma, dopo

  1. Cicerone, De senectute.