Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/134

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pene degni della divinitá. Fumo, fiamme, catene, un avoltoio, il secchio delle danaidi dovean far ridere coloro i quali vedevano che tutti questi oggetti non possono che sopra que’ sensi, che allora non abbiam pili. L’anima separata dal corpo non ha che la contemplazione del vero: questa, dunque, deve formar tutto il suo premio e tutta la sua pena. Qual occhio mortale può penetrar nell’alto segreto della provvidenza? Ma, se lo rivolgiamo in noi stessi, comprenderemo dalla nostra medesima natura quale sia il fine a cui siam destinati. Vedremo tutti i beni e tutti i mali, tutti i piaceri e tutti i dolori non esser tali, se non quando la mente li avverte; tutti sparire nel sonno, quando la mente cessa di avvertirli; una parte dei medesimi rendersi piú grave per i nostri timori, per le nostre lusinghe, per le previdenze nostre, infine per le nostre idee. Togliete queste o cangiatele, ed una parte de’ mali si vince, una parte anche piú grande non vi è piú; e voi vedrete donne debolissime conservar la costanza tra i piú duri tormenti, la morte istessa arrivare desideratissima. Ove dunque risiede la vita se non nella nostra mente? Osservate ancora, vi prego, o giovani, la legge colla quale la provvidenza dispensa, anche in questa vita, ed i mali ed i beni; e vedrete che i primi si aggravano o si alleggeriscono, i secondi si diminuiscono o si moltiplicano per quelle disposizioni medesime che sono necessarie a render l’uomo virtuoso. Molti mali evita l’animo temperante e giusto; molti pericoli vince, molti beni acquista o rende piú durevoli il prudente ed il forte: lo stolto, l’ingiusto, l’intemperante, il vile potranno esser talora fortunati, ma non saranno mai felici. La felicitá e data alla mente ed è compagna della virtú. Quando la mente sará sciolta dal corpo e filiera da tutti gli effetti di quel moto disordinato onde è agitata la materia, e che noi sogliam chiamare «fortuna», voi non sapete dire, o giovani, qual rimanga la vita ed a qual nuovo ordine di cose sia riserbata. Ma adorate i disegni della sapienza infinita: voi giá ne vedete ed il fine ed i mezzi. — Tu incominci, o saggio Clinia — diss io allora — dal credere vera una cosa, la quale per lo meno deve riputarsi