Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/149

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per lunga e felice sperienza, il primo ne avea giá acquistata. È vero tutto ciò che io dico? — Verissimo, o Clinia. — Non affideresti neanche la custodia delle leggi ad uomo, che tu conoscessi esser violento, prepotentemente scellerato, servo de’ suoi capricci e delle sue passioni; ma lo brameresti temperato, prudente, che sappia prevedere il male e fare il bene, che sia giusto... — Basta, o Clinia. Tu vuoi dirmi che vi è una scienza ed una virtú necessaria a governare, e che la cittá meglio ordinata è quella in cui le ottime leggi sono affidate a coloro i quali hanno piú di tale scienza e di tale virtú. — Questo appunto io voleva dirti, o Cleobolo. Or dimmi: se questo pare a te esser secondo la natura, non ti sembrali frivole tutte quelle divisioni di governi, che si fondano da taluni o sulla nascita o sulle ricchezze o sulla sorte? Noi chiediamo gli uomini piú sapienti, ed essi c’indicano o i piú nobili o i piú ricchi o i piú fortunati. Tu ben vedi che costoro o ci vogliono beffare, o veramente non conoscono que’ tali uomini che noi ricerchiamo. Simili dunque ai viaggiatori, che cercano una guida per ritrovar la casa dell’amico che abita in una cittá per essi nuova, provediamoci di un’altra guida per ritrovar quei sapienti, ai quali noi vogliamo affidare il prezioso deposito della pubblica felicitá. Ma prima dimmi: questi uomini di animo veramente regio credi tu che abbondino in una cittá? * — In Atene molti lo credono, o Clinia. Si crede in Atene che nulla sia piú facile dell’arte di governar lo Stato. Dopo l’esempio di Cleone, non vi è miserabile conciator di pelli, il quale non presuma di poter far tacere Pericle e vincere gli spartani. — E guai perciò ad Atene! La cittá è perduta, quando i cittadini han perduta la modestia: e la perdono ben presto, quando il giudice del loro merito è un popolaccio, il quale non solo non ha veruna scienza o virtú regia in sé, ma non la sa riconoscer neanche negli altri, e ciò, che esso non può fare, conunette a coloro che lo san fare meno di lui. Noi dunque